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Vuoto a perdere 01: L’incontro

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MONDO REALE: riscriviamo le storie dei personaggi sia buoni sia cattivi e Mark Wilson prende spunto da Mark David Chapman, il mitomane che ha ucciso John Lennon. Il giorno successivo all’omicidio i Queen, in onore all’artista appena deceduto, hanno suonato “Imagine” durante un loro concerto a Wembley.

FANTASIA: Mark Wilson è un ragazzo con bassissima autostima, ma grazie ai concerti dei Queen impara a credere in sé stesso e trova la sua ragione di vita.


Mark Wilson 01: vuoto a perdere

“Sei inutile, un vuoto a perdere!” Dai tempi della scuola era così che a casa mi parlavano, non importava quanto impegno dedicassi allo studio. Per i miei genitori ero il figlio indesiderato e avevano occhi solo per mia sorella Virginia, arrivando a mettermela contro fin da quando eravamo piccoli.

“Sei una delusione vivente”, mi diceva anche lei; “la nostra disgrazia! Chissà, forse prima o poi qualcuno ti vorrà anche bene… Ma solo perché gli farai pena!”

E in classe la situazione non era diversa: venivo preso in giro o nel migliore dei casi ignorato, ma se solo provavo ad alzare la mano per fare una domanda ai professori, partivano all’unisono risate e gesti scaramantici come se portassi sfortuna.

Solo un ragazzo sembrava rispettarmi: seduto all’ultimo banco Andrew si impegnava in qualunque materia, neanche usciva durante l’intervallo pur di studiare e veniva a scuola in tuta quando c’erano le ore di ginnastica onde evitare gli spogliatoi dove gli altri ragazzi si divertivano a canzonarlo.

Ma più Andy li teneva a distanza, più i bulli lo prendevano di mira. Specialmente quattro lo avevano scelto come bersaglio, un gruppo affiatato di cui in apparenza ognuno a scuola aveva timore: Raymond, Adrian, Kevin e Floyd.

Lo chiamavano “femminuccia” perché era sempre gentile con tutti e non rispondeva mai alle provocazioni, anche quando Raymond lo spintonava per allontanarlo da sé; “non si combatte coi pugni”, era il motto di Andrew. “Le parole feriscono di più, a condizione di saperle usare.”

Così i giorni di scuola passarono uno uguale all’altro e coltivavo con Andy la passione per la musica; sognavamo di vedere i Queen dal vivo, entrambi consapevoli di quanto fosse irrealizzabile dato il costo dei biglietti e l’impossibilità a procurarseli facilmente.

Fu una mattina del 1985 che tutto cambiò: Andy poco dopo l’intervallo uscì dall’aula e i suoi soliti due minuti per andare in bagno diventarono cinque, poi dieci, finché passata mezz’ora l’insegnante di storia interruppe la lezione e mi chiamò:

“Wilson per cortesia, va Lei a cercare lo studente Jones? Magari sta poco bene!”

“Se Andy stesse male nemmeno sarebbe qui”, pensai e le rivolsi un cenno di sì con la testa; mi sentivo tranquillo perché i bulli, quella mattina, avevano marinato scuola come usavano fare spesso e volentieri.

Uscii dalla classe camminando lentamente lungo il corridoio: sembrava un giorno normale con il solito via vai di persone che passavano senza mai degnarmi di uno sguardo mentre chiamavo a gran voce il nome del mio amico. Di Andrew, però, nessuna traccia.

Guardai il bagno dei ragazzi e quello delle ragazze, mi spinsi oltre fino alla sala insegnanti sotto lo sguardo indagatore del docente di fisica, ma solo per sentirmi dire le stesse cose: “Andrew Jones? Nemmeno l’ho visto, non so niente”. pareva che il bravo ragazzo, lo studente modello, fosse sparito nel nulla.

Tornai in classe e guardai il suo banco vuoto; lo zaino era lì a fianco, Andrew non poteva essere andato via senza i suoi libri! “Ancora niente, professoressa”, annunciai sconfortato. “Io vado a cercarlo fuori! Non vorrei mai che…”

Nessuno tra i miei compagni volle seguirmi e io, in preda a un brutto presentimento, uscii a passo svelto.

Feci solo in tempo a raggiungere il cortile della scuola e riconobbi immediatamente le risate dei bulli che, dietro a un muro, avevano accerchiato Andy.

“Lasciatelo stare”, urlai scattando come una molla; presi la rincorsa e li raggiunsi senza pensarci due volte.

“Ah sì?”, ghignò Raymond con la sua solita faccia arrogante; “perché, altrimenti? Cosa farai, frocetto?”

“Avanti sfigato”, gli fece eco Floyd. “Difendi la tua amichetta se ne sei capace!”

“Non ho niente da perdere!” urlai verso i quattro, e colpii Raymond con un pugno dritto sul naso.

Il bullo si spostò barcollando, mentre Kevin e Adrian cercarono di bloccarmi.

La reazione di Andy in quel momento mi sorprese: “Femminuccia a chi?” si spinse in avanti affrontando anche lui i quattro con pugni, calci e sputi finché Raymond, per sfuggire all’ennesimo mio pugno, inciampò su una pietra e ruzzolò a terra.

Coinvolti dalla scazzottata non notammo subito la docente di storia e il preside a pochi metri da noi; “poco ci interessa chi ha cominciato”, ci dissero con aria grave. “Siete sospesi dalle lezioni tutti e sei, per quindici giorni.”

“Per quello che … che me ne frega a me”, il labbro ferito non impedì a Raymond di rispondere al preside ma la sua sicurezza ai miei occhi sembrò per la prima volta vacillare.

Quella non fu l’unica occasione in cui Andy e io ci scontrammo fisicamente con Raymond e i suoi amici, ma il coraggio di tener testa ai “maschi alfa” della scuola ci diede la consapevolezza di un sentimento profondo tra noi, molto più forte di un’amicizia.

Ormai il giudizio degli altri ci scivolava addosso, ignoravamo le malignità scritte sui muri e i nomi con cui ci chiamavano. Eravamo forti, innamorati, certi di affrontare insieme qualunque difficoltà.


Se non puoi combatterli, unisciti a loro

Era un giorno di primavera e l’aria tiepida ci invogliava a uscire; stare in classe durante l’intervallo mentre il sole splendeva ci sembrava una perdita di tempo, così io e Andy ci nascondemmo dietro un vecchio muretto della scuola, il nostro solito posticino discreto dove scambiarci qualche bacio.

Ci eravamo appena appartati quando sentimmo all’improvviso delle voci familiari. Raymond si era fermato col suo gruppo a pochi passi da noi, il loro confabulare molto più allegro e rilassato del solito. Forse non ci avevano visto, o forse non li divertivamo più? Invece di allontanarci ed evitarli restammo lì fermi, cercando di captare l’oggetto della loro conversazione.

“Ragazzi, preparatevi,” disse Raymond nel suo solito tono di superiorità, “ho appena avuto conferma. Wembley, Queen, luglio 1986.”

“Caspita”, sussurrò Andy al mio orecchio; “magari fosse vero… dai, Mark, restiamo qui!”

“…Ho i biglietti”, continuò il bullo. “E non sono biglietti qualsiasi…”

I tre amici scossero la testa, rassegnati, guardandolo negli occhi. Ancora non ci avevano notati, così ci appiattimmo contro il muro, le orecchie ben tese.

“Freddie mi ha detto che ci aspetta, dietro le quinte.”

“Freddie?!” Adrian scoppiò a ridere, scuotendo la testa. “Ancora con questa storia? Siamo davvero arrivati a questo punto? Secondo te noi ci crediamo?”

Raymond Spencer Still, il ragazzo più popolare della scuola, preso in giro dai suoi stessi amici? Uno spettacolo troppo bello che non ci saremmo persi per nulla al mondo.

Adrian mostrò all’amico il dito medio e noi, divertiti, ci palesammo rivolgendogli lo stesso gesto.

Raymond, però, non si scompose. “Ridi pure, Adrian. Ma vedrai con i tuoi occhi. Freddie e io siamo in confidenza. Mi ha detto che vuole conoscermi meglio. Vuoi venire al concerto o preferisci continuare a vivere nella tua ignoranza?”

Kevin e Floyd si scambiarono sguardi increduli. “Certo, Ray,” disse Kevin, “e poi dopo il concerto andiamo a farci una birra con tutta la band, vero?”

“Ma voi siete degli idioti,” ribatté Raymond, alzando la voce. “Non capite proprio un cazzo. Io sono amico di Freddie Mercury. Quando saremo lì a Wembley, mi ringrazierete tutti. Scommettiamo?”

Io e Andy restammo senza parole. Queen, Wembley… un desiderio che poteva avverarsi. Ma l’idea di chiedere a Raymond, proprio a lui, di andare tutti insieme era assurda. Eppure, il pensiero di perdere un’occasione del genere ci tormentava.

“Non capisco perché lo prendono in giro,” Andy parlò a bassa voce e mi rivolse un lieve sorriso. “Anche se Ray conosce solo il custode di Wembley, è comunque meglio di niente.”

Proprio in quel momento Raymond fece un passo verso di noi, cogliendoci di sorpresa: “e per dimostrarti che è vero, guarda, sono anche disposto a invitare…” si fermò, il dito indice puntato su di me.

“Senti, Ray,” disse Floyd scuotendo la testa. “Racconta pure quello che vuoi, non me ne frega niente, ma quei due… ehm, sai chi intendo, ti pare il caso di invitarli? Sì? Non voglio passare il concerto tenendo il moccolo a una coppia di frocetti. Chiaro?”

Mi morsi forte le labbra per non rispondere, il mio corpo che quasi prendeva fuoco dalla collera; sarei stato pronto a fare a pugni ancora e fu solo Andy a tenermi calmo stringendomi una spalla con le dita, ma sapevo che anche lui era furioso.

“Ma sì, Ray, è ridicolo,” aggiunse Kevin. “Che ci fanno due tipi come loro a un concerto dei Queen? Non abbiamo già abbastanza problemi con la gente che ci guarda strano per il modo in cui balli?”

“Ma allora è vero!” Io e Andy ci scambiammo un sorriso malizioso; quelli come Ray diventano ostili perché sono gay quanto noi, ma se ne vergognano e invidiano la nostra libertà.

Raymond fece un passo indietro e li guardò con un’espressione che non mi aspettavo. Sembrava ferito. “I Queen sono per tutti,” disse con tono deciso. “Freddie è un artista che parla a chiunque abbia un’anima, un cuore, e tanta rabbia dentro. Come noi, e come loro. Non mi interessa cosa pensate voi. Mark e Andy verranno con noi, che vi piaccia o meno.”

Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. E se fosse una trappola per umiliarci ancora di più? Mi girai per allontanarmi e Andy mi afferrò un braccio: “se te ne vai rischiamo di perdere l’occasione”, mi avvertì; “e sai cosa ti dico? Se non vuoi venire, ci andrò senza di te. Costi quel che costi.”

Adrian alzò un sopracciglio. “Aspetta, Ray, stai dicendo sul serio? Vuoi portarli al concerto con noi? Quelli che hai preso a calci il mese scorso?”

Ray fece spallucce, con un sorrisetto arrogante. “Ma certo. Sono due sfigati, ok, ma amano i Queen. E sapete cosa significa? Che quando saremo tutti lì, e Freddie ci guarderà, io sarò quello che lui ricorderà perché gli ho portato gente. È tutta questione di apparenze, ragazzi. E io non perdo mai l’occasione di mostrarmi.”

“Ecco qua il Ray che conosciamo”, mi sorrise Andy. “Lui vuole usarci per farsi bello? Perfetto, noi lo sfrutteremo per il nostro sogno! Una mano lava l’altra!” Ci battemmo il cinque, sotto gli occhi dei quattro bulli.

“Allora cosa facciamo?” chiese di nuovo Raymond; “Devo muovermi entro due, al massimo tre giorni. Prendere o lasciare!”

Adrian, Kevin e Floyd non sembravano convinti. “Sei pazzo, Ray. Ci prenderanno tutti per il culo se ci vedranno con loro. Quei due sono…”

Raymond alzò la mano, interrompendoli. “Madonna quanto siete scemi. Io non lascio qualcuno indietro, per quanto antipatico mi possa stare, quando c’è un’occasione del genere. Non rovinate tutto con le vostre stronzate. Voglio fare bella figura, e loro saranno in gruppo con noi. Fine della discussione.”

Kevin sbuffò, ma non disse altro. Floyd invece fece una smorfia. “Come vuoi, Ray, ma non venire a piangere quando diventeremo gli zimbelli di tutta la scuola.”

La conversazione finì lì e i quattro si allontanarono ridendo tra loro. Rimasi immobile per un attimo, poi guardai il mio ragazzo, che sembrava più sconvolto di me.

“Pazzesco”, esclamò Andy. “Lo stronzo che ci mena vuole davvero portarci a Wembley, ti rendi conto amore?”

“Non so cosa sia più strano,” aggiunsi; “il fatto che ci stia invitando o che sembri sinceramente orgoglioso di averci con lui.”

Andy ridacchiò. “Beh, se non puoi combatterli…”

“…unisciti a loro,” conclusi io, “la musica fa miracoli.”


Lo spettacolo

Quando Raymond ci consegnò i biglietti io e Andy restammo a bocca aperta. Wembley, prima fila. Non ci potevamo credere. Finalmente stavamo realizzando il sogno di una vita grazie al nostro eterno nemico e non ci importava se, anche in quell’occasione, lui e i suoi fedelissimi continuavano a prendersi gioco di noi. Le loro risatine sprezzanti erano un costo alto, ma sicuramente meno di quello che avremmo pagato spendendo soldi veri.

La sera del concerto Wembley era pieno: migliaia di persone con storie diverse, pensieri e culture opposte, ma tutte unite dall’eccitazione per quell’evento unico. “La musica unisce, lo vedi?” dissi piano al mio compagno; “chissà quanti come noi sono seduti insieme a chi li prende a cazzotti?”

Ci accomodammo ai nostri posti. Noi, Raymond, i suoi tre amici, e notammo un’altra compagnia posizionarsi subito alla nostra destra: quattro ragazze e un ragazzo accompagnati da un adulto. Sembravano appassionati quanto noi, e cantavano sottovoce i successi dei Queen nell’attesa che lo spettacolo iniziasse. A un certo punto mi sembrò anche di vedere Raymond scambiarsi occhiate con l’uomo dell’altro gruppo, ma distolsi subito l’attenzione perché gli sconosciuti erano concentrati solo su sé stessi e il palco, specie le ragazze per le quali contavamo meno di zero.

Quando le prime note di “One Vision” risuonarono nell’arena, il pubblico si scatenò in uno scrosciante applauso. Io e Andy saltammo in piedi, le nostre voci che si fondevano a quelle degli altri ammiratori. Poi Freddie Mercury si mostrò in tutto il suo splendore, muovendosi sul palco come fosse a casa.

Persino Raymond e gli altri bulli avevano perso il loro sarcasmo e arroganza, ipnotizzati com’erano dalla musica e il carisma di quell’artista geniale.

Arrivò il momento di “Radio Ga Ga” e migliaia di mani batterono a ritmo; era la preferita di Andy e lui, occhi puntati sulla band, cantò a voce alta il testo che conosceva a memoria.

starei da solo a guardare la tua luce, mia unica amica durante le notti dell’adolescenza

e tutto ciò che dovevo sapere, l’ho sentito sulla mia radio… …Ci hai fatti sentire come se dovessimo volare … radio …

Sul primo ritornello Andrew allungò le braccia in avanti e guardò Freddie: “Radio, cosa c’è di nuovo? Qualcuno ti ama ancora!” L’artista se ne accorse e gli restituì uno sguardo d’intesa.

Fu un contatto fugace, istantaneo, ma con un’intensità che mi lasciò inquieto: emozione, gelosia, neanch’io seppi spiegarmi cosa stessi provando; capii solo che quel momento per Andy e Freddie era magico, qualunque cosa nascondessero i loro sguardi.

Un brano dopo l’altro, l’evento continuò a farci emozionare: “Bohemian Rhapsody”, “We Will Rock You”, “We are the champions”… Tutti si cantava a squarciagola, coinvolti dalla folla e la musica. Ma quel breve contatto visivo tra Andy e Freddie non volle uscire dai miei pensieri.

Uscita di sicurezza

Quando l’ultimo brano finì e il pubblico iniziò a disperdersi, Raymond si girò verso di noi con un sorriso determinato. “È il momento,” ci esortò a muoverci, “andiamo da Freddie.”

Io e Andy ci guardammo perplessi e lo seguimmo a breve distanza. Ray era così sicuro delle sue possibilità, quale ragione avevamo per dubitarne adesso?

Dargli fiducia una volta in più non sarebbe costato poi molto, dopotutto. Ma quando arrivammo vicino all’ingresso VIP, l’addetto alla sicurezza ci bloccò il passaggio.

“Ehi! Voi! Fermi!”, disse con tono deciso. “I fan non sono accetti qui! Fuori!”

Raymond non si lasciò intimidire. “Sono un amico di Freddie!” replicò, provando a imporsi. “Mi sta aspettando.”

L’altro lo gelò con lo sguardo. “E beh? Puoi essere anche il Padreterno, ma senza il pass tu non entri. La regola vale per tutti.”

Il bullo si mise a inveire contro il mondo e Adrian si unì a lui insieme a Floyd, ma l’addetto fu inflessibile: “voi state fuori!” intimò e, poco dopo, fece passare il gruppo di ragazzi che al concerto si era seduto accanto a noi, quando l’uomo adulto esibì il pass VIP.

Io e Andy ci allontanammo di qualche passo; Ray si stava portando a casa una figuraccia delle sue e non volevamo perdercela, ma non avevamo intenzione di farci coinvolgere in quel disastro! poi in cuor nostro speravamo. Freddie dovrà pur passare di qua se vuole uscire, o no? Rimanemmo in disparte, nascosti, discreti e con l’occhio vigile.

L’incontro

Dopo che Ray e la sua banda si dileguarono, osservai le altre persone uscire un po’ alla volta. E i ragazzi misteriosi seduti a fianco a noi dov’erano? Nei camerini?

A un certo punto li vidi uscire dalla porta di emergenza scortati dal loro accompagnatore; sudati, stanchi, ma fu impossibile identificare altri dettagli perché camminavano troppo velocemente.

“Va tutto in merda”, sospirai posando la testa sulla spalla di Andy; “non dovevamo fidarci, te lo dicevo! Andiamo?”

“NO!” rispose lui seccato. “O se vuoi andare tu, io resto qua finché non esce! Hai Freddie Mercury a due passi e te ne vuoi già andare? Sei scemo?”

Era la prima volta che Andrew mi trattava così e incassai il colpo. “Sono proprio un vuoto a perdere. Tu meriti qualcosa di meglio!”

Lui abbozzò un sorriso amaro e fece per rispondermi, ma in quel momento una porta si aprì a pochi metri da noi.

“Oh, cazzo, guarda chi…” le parole mi si bloccarono sulla punta della lingua appena girai lo sguardo verso il camerino. Lui stava lì, tutto sudato, la faccia stravolta e il trucco ancora addosso. Freddie Mercury, affaticato dal concerto e forse non solo da quello, camminava guardandosi intorno.

Senza pensarci troppo mi avvicinai a lui. Un passo dopo l’altro, più la distanza si accorciava più realizzavo quanto fosse umano: aveva un odore, respirava, sudava, come tutti! Non era più la divinità vista poco prima sul palco scenico. Era un uomo fragile, da tenere stretto fra le mie braccia, da baciare se possibile…

Incurante di Andy in piedi al mio fianco, mi allungai verso Freddie cercando di abbracciarlo: “Sei mio”, gli urlai. “Mark me! Fammi tuo!”

Si girò verso di me e incrociai il suo sguardo pieno di commiserazione. Freddie scosse il capo e indietreggiò, come se io non esistessi. Ero un vuoto a perdere e me lo aveva appena confermato la persona che amavo di più al mondo.

“Allora lascia almeno che io ti guardi!” lo pregai e lui mi ignorò platealmente, ma il suo sguardo cambiò appena incontrò quello del mio compagno.

Ci fu un momento di silenzio, un attimo di connessione quasi surreale. Freddie fece qualche passo verso Andrew poi, con un gesto lento e deliberato, allungò la mano.

Andy restò impassibile per lo stupore. Poi prese coraggio e con estrema calma strinse la mano di Freddie. Occhi negli occhi, mano nella mano, erano due anime connesse tra loro da un filo invisibile, una forza ancestrale che li aveva attratti come due magneti.

Per alcuni minuti rimasero in silenzio, le loro mani unite in una stretta avvolgente che mi fece sentire a disagio: meritava davvero di meglio il mio Andrew, non potevo decisamente competere con Freddie Mercury.

Osservai la scena, incapace di intervenire, finché Freddie lasciò la mano del mio ragazzo. Erano movimenti graduali, lenti, come a non voler spezzare un fragile equilibrio. Non si dissero una parola ma appena l’artista tornò in camerino, Andy restò davanti alla porta con gli occhi gonfi di lacrime.


Non toccarmi!

Era già quasi l’alba quando trovammo un taxi libero che ci potesse riaccompagnare a casa, e Andy mi evitò per l’intero viaggio; niente parole né sguardi, il suo volto era diventato un muro impenetrabile. Si limitò solo a pagare l’autista e rivolgergli un breve saluto, poi aprì la porta del piccolo appartamento in cui solo da pochi mesi vivevamo assieme.

Raggiunta la nostra stanza da letto mi avvicinai a lui, con la speranza di rompere il ghiaccio.

“Andy, va tutto bene?” chiesi, preoccupato; “sei stanco? Dai, andiamo a dormire, è stata una giornata piena.”

Provai ad abbracciarlo e lui fece un passo indietro, scuotendo la testa. “Non ora, Mark,” sussurrò, con la voce rotta da chissà quali emozioni. “Non riesco… non voglio essere toccato. Dormo … dormo sul divano…”

Avevo capito tutto, la realtà era davanti ai miei occhi. Però volevo sentirlo dire da lui. “Ma… cosa è successo con Freddie? Cosa ti ha detto?”

Andy distolse lo sguardo. “Non c’è nulla da spiegare,” mormorò. “È solo che… non voglio essere toccato … non voglio che TU mi tocchi. Non stanotte.”

Quelle parole furono per me una pugnalata. Rimasi lì, immobile, mentre lui si allontanava verso il salotto senza voltarsi indietro.

Non c’era nulla che potessi dire o fare per colmare quel vuoto che si era creato tra noi. Freddie aveva compreso Andy, l’aveva capito come io non sarei mai stato in grado, e quella notte per la prima volta da quando stavamo assieme, mi sentii veramente solo.


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