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Neanche ai tempi dell’AIDS? La sierofobia fa sempre male

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Ora non è il momento per le storie di fantasia: come si può pensare che certi post sui social network possano scivolarci addosso come nulla fosse?


Certi post di prima mattina…

21 gennaio 2022. Stamattina ci siamo svegliati con un post così:

“NEANCHE AI TEMPI DELL’AIDS SI DOVEVA MOSTRARE UN PASS PER ENTRARE AL BAR. SE PER VOI E’ NORMALE…”

Il messaggio è arrivato come foto screenshot, condiviso in un gruppo in cui si prendono in giro i sostenitori delle varie teorie cospirazioniste sul covid e non solo; ma anche se nel gruppo tutti concordano sulla stupidità di una simile affermazione arrivata dagli ambienti social antiscientifici, a noi ha fatto male scoprire quanta sierofobia si nasconda anche in un contesto dove si denuncia l’ignoranza scientifica dei vari “no-tutto” circolanti per la rete.

Ai tempi dell’AIDS?

Ah, perché, l’AIDS è passato? Ci spiace deludere certi soggetti ma non è così: ci si ammala ancora, specie in caso di gente presuntuosa che “va a letto solo con persone fidate” senza alcuna protezione, non effettua alcun test, scopre di essere positiva all’HIV solo quando presenta sintomi gravi a causa del sistema immunitario compromesso, e soprattutto continua a trasmettere in giro il virus senza sapere di averlo: è questo il dramma dell’HIV sommerso, ci si accorge dopo anni di averlo quando in un modo o nell’altro può essere già troppo tardi.

Dove può portare la presunzione di essere “sani”, è raccontato molto bene nel libro Seguimi con gli occhi di Nadia Galliano che in una storia inventata ma realistica, parla di una ragazzina adolescente catapultata in un mondo più grande di lei dopo la morte per AIDS del fratello.

Tempo fa anche un politico ha accostato i gay all’HIV sempre in merito alla questione certificato vaccinale anti-covid, coniando anche un hashtag “hivpass” a cui volevamo rispondere che per avere accesso a “hivpass” bisogna prima dotarsi di “hivreceive” poi abbiamo rinunciato a replicare, consapevoli che certa gente non ci arriverebbe e ci saremmo solo trovati pieni di insulti.

Noi cerchiamo anche di parlare con le persone legate a certe convinzioni ma è pressoché impossibile farle ragionare perché si sentono rassicurate dai propri dogmi e pregiudizi. Quindi nei loro confronti la nostra coscienza è a posto, le proviamo tutte, ma se si intestardiscono nei soliti preconcetti fino a sbatterci il naso poco possiamo farci!

La sierofobia insospettabile fa più male

Dobbiamo sempre farci i conti, ma allo stigma verso la sieropositività non ci si abitua mai. Non riusciamo a comprendere le persone che tutt’ora sono indottrinate dallo slogan “se lo conosci lo eviti” in voga negli anni 90, che usando quelle immagini dell’alone viola invece di rendere consapevoli dei rischi reali ha creato il disastro facendo passare il messaggio di dover evitare chiunque dichiari apertamente di essere sieropositivo, di conseguenza interi gruppi di persone sono costrette ancora oggi a stare in silenzio perché l’infezione da HIV non viene considerata una malattia ormai cronica come un’altra, bensì una punizione divina per comportamenti “immorali”.

Oggi, volendo, le informazioni ci sono! Peccato che i media anziché favorire la conoscenza dei progressi scientifici e sulla prevenzione, continuano a distribuire una narrazione tossica evidenziando solo i casi limite e criminalizzando l’infezione in quanto tale.

Con questa situazione, tutto sommato, ci siamo rassegnati a convivere e cerchiamo di smontare la sierofobia delle persone a noi più vicine ma a farci male è quando leggiamo certe battute da chi crediamo essere in qualche modo informato sulla scienza. Gente per la quale proviamo stima e da cui mai e poi mai ci aspetteremmo certi stereotipi, specie quando loro condannano per primi i preconcetti di chi paragona Covid all’AIDS:

  • “Se mi portassi a letto il barista, avrei da ridire anche sull’AIDS”.
  • “Io vado al bar per un caffè, non per fare altro”.
  • “Se avessi l’AIDS e ci provassi con la cameriera, mi butterebbero fuori comunque”.

E basta, cazzo. Basta. Con questa convinzione secondo cui a un sieropositivo sia negata in assoluto una vita sessuale, avete davvero stancato. Quello che state leggendo è un articolo scritto a quattro mani da due autori. Una donna sieronegativa che ha avuto per 10 anni una relazione sessuale e sentimentale, senza rischi, con un uomo sieropositivo; e un uomo gay sieropositivo sposato col proprio compagno tutt’ora sieronegativo e a sua volta senza alcun timore o rischio di trasmissione. Ancora una volta deludiamo le vostre aspettative dicendovi che nessuno di noi due è votato alla castità, nella maniera più assoluta. Anzi.

Siamo esausti, abbiamo davvero la sensazione di perdere il fiato sempre a spiegare, spiegare, spiegare: non rilevabile, profilassi post-esposizione, e anche la Prep, cioè la profilassi pre-esposizione sebbene quest’ultima sia difficile da farsi prescrivere… E sentirci rispondere “non lo sapevo”, nel migliore dei casi. Ecco: se siete ignoranti voi per primi dovreste quantomeno evitare di parlare a vanvera su argomenti che conoscete superficialmente se no non lamentatevi quando vi si prende in giro, perché anche se sapete di matematica, fisica, “vaxxxini azzazzini”, su HIV e AIDS siete al livello delle #girasugo e la colpa è solo vostra. Certo non si può sapere tutto a questo mondo, ma almeno abbiate l’umiltà di far silenzio se le vostre conoscenze in materia sono rimaste agli anni 80.

Fare il verso ai vari complottisti ci sta, ma la vostra sierofobia non è diversa dalle teorie sulla terra piatta, le scie chimiche, il microchip nei vaxxxini e quant’altro. Vi piace, non vi piace, la situazione è questa e noi ve la sbattiamo sulla faccia così com’è.


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