Di solito si utilizza l’espressione: “chiedo per un amico” davanti a una frase o situazione che in qualche modo ci fa vergognare; questa volta invece la faccenda è importante e riguarda seriamente un nostro amico, la sua candidatura ai Diversity Media Awards 2024. La persona in oggetto è Roberto e il motivo per cui vogliamo candidarlo è il “Motto Podcast”.
Ma andiamo con ordine.
Diversity Media Awards: di cosa si tratta?
“Premiamo l’inclusività”, questo è lo slogan dei DMA – Diversity Media Awards – un evento mediatico portato avanti dall’associazione Diversity la cui fondatrice è Francesca Vecchioni, figlia del cantante Roberto, il primo evento mediatico è stato nel 2016.
Questa iniziativa si propone di premiare persone e contenuti mediatici che valorizzano “le differenze” in ambito di disabilità e aspetto fisico, orientamento sessuale, sesso e identità di genere, etnia ed età.
Al momento in cui scriviamo (21 ottobre 2023) sono aperte le selezioni per il DMA 2024 ed è possibile proporre una candidatura ai Diversity Media Awards fino al 31 dicembre 2023.
Diversity Media Awards: chi si può candidare?
Quali categorie di contenuti sono proponibili:
- miglior serie tv italiana
- miglior serie tv straniera
- migliore serie kids (per bambini)
- miglior programma radio
- miglior podcast
- miglior programma tv
- creator dell’anno
- miglior prodotto digital
- miglior film italiano
- personaggio dell’anno.
Quali tipologie di contenuti sono candidabili:
- Genere (es. Femminismo, empowerment femminile, maternità e genitorialità, gender pay gap, ruoli e stereotipi di genere ecc…)
- LGBT+ (orientamento sessuale, identità di genere, orientamento affettivo…)
- Etnia – seconde generazioni, lotta al razzismo, immigrazione, background culturali, ecc.
- disabilità – salute mentale, disabilità fisica, neurodivergenze, disabilità invisibili…
- età e generazioni (dialogo tra generazioni, comportamento negativo verso gli anziani, ecc)
- aspetto fisico: per i corpi che non rientrano negli “standard di bellezza sociali”.
Cosa è il Motto Podcast
Ideato da Roberto Lachin, MottoPodcast si chiama così perché “motto” in giapponese vuol dire “di più” e in italiano il motto è uno slogan, una frase di incoraggiamento per cui – come Roberto afferma nella presentazione del podcast il termine è idoneo agli obiettivi che si propone: affrontare i temi dell’inclusività sia nell’ambito della disabilità e lo sport, sia in altri settori. Prendendo le sue parole, Motto vuole trasmettere “un incoraggiamento a fare di più”.
Giusto per informazione, anche il Mondo Positivo ha partecipato al Motto Podcast – Internet Positivo, episodio pubblicato l’11 aprile 2021.
Al di là comunque dell’ospitata, ci sembra il minimo sindacabile dare una mano a Roby con tutto l’impegno che in tre anni ci ha messo a far conoscere al mondo decine di storie positive (senza il doppio senso, questa volta!) quando spesso e volentieri nel resto dei blog e social si vedono narrazioni fondate sull’empatia esibita, quei buoni sentimenti e parole sull’inclusione condivisi solo per generare ascolti o letture. Invece, un podcast prodotto interamente da persone che vivono la disabilità davvero e senza alcun interesse sull’audience, scusate se è diverso.
Proporre Motto Podcast ai Diversity Media Awards
Incoraggiamento a fare di più. Motto; è con questo spirito che vogliamo dare anche ai nostri follower l’opportunità di conoscere il Motto Podcast proponendo la sua candidatura ai diversity media awards 2024.
Per procedere sarà sufficiente collegarsi alla pagina proponi del sito ufficiale, e compilare il modulo con i seguenti dati:
- titolo: Motto Podcast
- che cosa ci vuoi segnalare: miglior podcast
- scrivere la spiegazione sulla casella “perché ci segnali?”
- tematiche: disabilità, LGBT+, corpi, femminismo
Dopo, se proprio si vuole, sul “come hai saputo dei diversity media awards” inserire “creator che seguo”, così per far alzare un po’ l’autostima di due creatori digitali che per il resto del mondo neanche lo sono.
Ma candidatevi voi!
Qualcuno potrebbe anche chiederci: “scusate, ma perché non vi candidate voi?”
Vorremmo, certo che vorremmo ma non siamo idonei!
Il regolamento dei diversity media awards è abbastanza restrittivo quando si parla di contenuti digitali e quasi quasi dà ragione alla posta del culo pubblicata di recente.
Non possiamo candidarci come “miglior contenuto digital” perché:
Miglior contenuto digital
Rientrano in questa categoria le singole pubblicazioni digitali rivolte a un pubblico italiano apparse sulle seguenti piattaforme: Instagram, Facebook, Twitter, You Tube, Tik Tok.
Possono essere di formato testuale, video, grafico e/o visivo.
Diversity si riserva il diritto di verificare, in fase di analisi, l’impatto in termini di reach e diffusione di ciascun contenuto segnalato che dovrà superare il limite delle 50k views
E WordPress? Tumblr? Mastodon? Esistono solo i social media citati poco più in su? Questo per noi si chiama in un modo soltanto: DISCRIMINAZIONE. Tagliare fuori le piattaforme che probabilmente, essendo più “di nicchia”, si concentrano di più sulla qualità dei contenuti. Senza contare che 50 mila visualizzazioni vuol dire aver già un certo tipo di celebrità.
Peggio ancora, forse: esclude in partenza tutte quelle persone con disabilità o facenti parte di gruppi “marginalizzati” che fanno il possibile per dare il proprio contributo al mondo grazie ai contenuti digitali, ma non sono molto seguiti soltanto perché non hanno le conoscenze o occasioni giuste per diventare degli “influencer”.
Sui creator, invece, la situazione è ancora più limitante. Non che volessimo autoproclamarci “creator dell’anno” perché un sacco di altri blogger e podcaster meritano l’appellativo “creator del secolo” dal nostro punto di vista, però i criteri basati sulla quantità di visualizzazioni e follower sono falsificabili e ogni giuria che si rispetti, dovrebbe saperlo.
Precisiamo che le votazioni non si fondano su questo, ma a noi pare già grave che esclusivamente il numero di seguaci e visite sia considerato come via libera per candidarsi.
Dice il regolamento dei DMA:
Creator dell’anno
Rientrano in questa categoria le persone note al grande pubblico che, rivolgendosi a un target principalmente italiano, promuovono attraverso i propri canali (Instagram, Facebook, Twitter, Tik Tok, You Tube) messaggi di comunicazione inclusiva. L’analisi di questi profili tiene conto di un rapporto direttamente proporzionale fra impatto mediatico potenziale e responsabilità personale del singolə creator.
Fra i profili segnalati verranno presi in analisi quelli che soddisferanno almeno uno dei seguenti requisiti quantitativi:
IG: 50 k follower
FB: 100 k follower
TW: 100 k
TikTok: 150 k follower
YT: 50k views
Fossimo stronzi fino al midollo, potremmo spendere poche decine di euro e comprarci un centinaio di migliaio di follower per la pagina Facebook del Mondo Positivo; anche qui naturalmente la funzione social di WordPress, ovvero WordPress Reader, neanche viene presa in considerazione; diciamoci la verità adesso, vorremmo sapere quanti cosiddetti “influencer” hanno centomila e passa follower tutti autentici! Non vengano a raccontarci che nessuno li abbia comprati, dai.
Andare su Google e cercare “comprare follower su Facebook” porta un sacco di risultati e chi ha abbastanza soldi oltre a una bella faccia come il culo, indubbiamente conoscerà certi servizietti meglio di noi.
A mantenere i follower già facciamo fatica avendone pochi, ma cerchiamo per quanto possibile di coltivare con loro un rapporto e, i soldi, preferiamo vengano spesi per altre esigenze (un mese di abbonamento a un servizio streaming è una spesa migliore); Mastodon con Tumblr e Facebook ci bastano e avanzano, preferiamo investire il nostro tempo in modo diverso dai social e solo per questo noi non verremmo considerati dalla giuria dei Diversity Media Awards anche solo per le selezioni.
Si è capito che ci sta sul cazzo questa faccenda, vero? E non è per invidia, ma per la dannata facilità con cui uno se vuole può imbrogliare sui numeri quando e come gli pare.
Ultimo ma non meno importante: un’iniziativa sull’HIV, in linea teorica, non potrebbe essere compatibile nelle categorie del premio! LGBT, femminismo, corpi non conformi, disabilità. Anche non volendoci candidare noi avremmo voluto proporre la campagna U=U Impossibile Sbagliare con tutto il mazzo che le associazioni si fanno per promuoverla, è un progetto comunitario che merita visibilità sicuramente più di noi. Oppure i Conigli Bianchi, il gruppo di illustratori contro lo stigma su HIV. E il sito italiano sulla profilassi pre-esposizione? Lo stesso.
Ci sembra alquanto imbarazzante considerare “disabilità invisibile” o “corpo non conforme” una persona con HIV che, a parte il virus nel sangue e gli antivirali quotidiani, ha una vita assolutamente equiparabile a chi è HIV negativo quindi non fa i conti con le barriere architettoniche o sensoriali. Disabilità invisibile per via dello stigma? Sempre in linea teorica potrebbe starci, perché per disabilità si intende:
La disabilità è l’insieme di condizioni potenzialmente restrittive derivanti da un fallimento della società nel soddisfare i bisogni delle persone e nel consentire loro di mettere a frutto le proprie capacità”.
Fonte: Disabilità, quali parole usare. Però se per noi è un concetto plausibile, cosa penserebbe la giuria?
Classificare l’HIV nella categoria LGBT sarebbe come avallare l’associazione “HIV = omosessuale” tanto cara a certa politica, quando sono decenni che si tenta di sfatare il pregiudizio sulle categorie a rischio; col femminismo c’entra relativamente poco. Mettere una categoria “salute” che includesse malattie croniche e rare? Ecco, quelle persone che devono fare i conti con le patologie rare hanno ancora più diritto di sentirsi perplesse rispetto a noi.
Ci spiace constatare come, in un modo o l’altro, questo evento sull’inclusività finisca per escludere qualcuno, ma per adesso è l’unica cosa che abbiamo e lo prendiamo come viene.
Per il momento ci limitiamo ad aiutare Roberto a candidarsi, poi scaduti i termini delle selezioni ci faremo sentire coi fondatori e chiederemo di alzare la testa anche ai nostri amici attivisti.
Lascia un commento