Su una busta trovata nella cartellina di Alison è impresso il simbolo della radioattività: è un sistema maldestro per dissuadere i curiosi, o c’è dell’altro?
Soltanto l’alieno ChaserNucleus può avvicinarsi a materiali radioattivi senza correre rischi, e Alison ne è consapevole.
Alison: documenti radioattivi
“Ferma, Ali, ferma! Adri non è pronto!”
Ho preso sonno mentre il virus, anziché darmi la buonanotte, raccontava che il mio amato e fidato gifter è impazzito; “voleva farti mandare Grace in AIDS, sul serio? HIV, spero tu non abbia fatto del male alla mia piccola!”
“Alison! Chaser ingrata! Per chi mi hai preso, la vostra bambina è in buone mani. Ho solo reso inoffensivo il tuo grande bel profiler finché non gli torna la ragione. Tranquilla, impossibile che si svegli adesso.”
Ho sbagliato io a parlare con Arianna durante il viaggio verso l’ospedale con Adri lì che mi guardava, dovevo consegnargli i documenti molto prima nonostante la paura del serial killer in agguato, e ora ho il dubbio: se HIV nostro gli avesse anticipato ogni cosa? Come dovrei comportarmi?
Il virus non ha delicatezza, il tatto è una qualità che ancora deve acquisire per gestirsi con noi umani; forse ha usato gli incubi per comunicare col profiler, ottenendo solo l’effetto di farlo arrabbiare anche con me e Grace.
Piano piano tiro fuori la cartellina da sotto il cuscino e guardo la data impressa accanto a un simbolo di radioattività, entrambi in rilievo: “6 luglio 1998, clinica S. Teodoldo”; il lucchetto aperto è una tentazione irresistibile, potrei leggere tutto e approfondire quello che in parte già so, ma l’indicazione “radioattivo” basta a spaventarmi.
Cosa vorrà dire quella data, per forza dev’essere accaduto un evento correlato al nucleare se c’è quel simbolo!
Ma d’improvviso mi coglie un senso di inquietudine: e se fossero i documenti a essere radioattivi? Maledizione, ho sempre toccato la cartella, l’ho presa in mano anche quando ero incinta!
Un attimo però: l’alieno ChaserNucleus celebra il compleanno il 6 luglio due giorni dopo Adri e per colpa del Dissanguatore nessuno quest’anno ha potuto festeggiare. Devo chiamarlo, gli auguri in ritardo possono essere la scusa per mostrargli i documenti radioattivi!
ChaserNucleus: nel momento meno opportuno
Sempre così: il telefono suona nel momento meno opportuno e pure stavolta non si smentisce; mi ero appena infilato sotto le coperte con Hunter, dal periodo in cui siamo stati insieme in America non ci era più concesso prenderci una notte tranquilla solo tra noi.
Sento la nostalgia di Marte perché coi nostri sofisticati mezzi tecnologici, si capisce appena il telefono squilla se arriva una bella notizia, una brutta o l’ennesimo seccatore; così, girarsi dall’altro lato quando si vuole dormire, è una libertà insindacabile perché il chiamante lo capisce al volo, e smette di scocciare.
Con questi pregressi ho avuto enormi difficoltà nell’acquisire le abitudini del pianeta Terra, qui la tecnologia è evoluta ma non abbastanza specie qui a Bugliano.
Per me è inconcepibile dover rispondere a ogni squillo o, nel migliore dei casi, rifiutare la chiamata sperando che dall’altro lato comprendano sia forse più opportuno scrivere.
“Adesso ti tocca, Nucleus”, Hunter ha in mano il mio telefono che a massimo volume riproduce la sigla di Star Trek unico mio aggancio con lo Spazio. “Ti sta chiamando la tua sorella di virus!”
Mi sento sollevato appena leggo sul display il nome di Alison, Adri mi ha dato almeno due sorelle virali e ahimè non sono tutte simpatiche; a lei comunque, è sempre piacevole rispondere.
“Nuclear! Marziano radioattivo, ho bisogno di te urgente. Sono nella stanza del nostro Gifter!”
Poche parole, concise, che non mi danno possibilità di replica; vestito alla meglio ma tenendo i piedi scalzi, mi avvio alla stanza del profiler.
“Ma che cazz…” Una situazione a dir poco imbarazzante quella in cui mi trovo quando apro la porta usando la scheda magnetica universale: Adri sul letto addormentato e Alison, completamente nuda, sdraiata accanto a lui a pancia in giù con un raccoglitore posato sul materasso all’altezza dei seni.
“Le femmine umane non mi interessano più”, la avverto senza guardarla; “se l’hai sfinito e tu hai ancora voglia, trova un’altra soluzione perché io sono etero solo con le marziane.”
Lei scuote la testa mettendosi a ridere: “no, Nucleus, Gifter nostro è stanco per altre ragioni.”
Qualcosa in effetti però non quadrava: il pendente con la chiavetta che di solito Adri tiene sempre rivolto al cuore, è appoggiato sulla sua schiena.
“Ho dovuto girargli la catenina per aprire questo”, Alison si sfila il raccoglitore da sotto il corpo e me lo consegna. “Scommetto che vuoi sapere cos’è questo simbolo”, sorrido mentre indico il logo della radioattività. “Ma se contenesse materiale tossico, mi avresti chiamato senza tenertelo addosso!”
Osservando con attenzione la cartella, il mio sorriso si spegne di colpo: 6 luglio 1998, il giorno della mia nascita. Clinica San Teodoldo, com’è possibile che io sia nato lì! Mio padre aveva sempre detto che ero venuto al mondo in una casa.
“Marco Nucleus Volta Atomicus”. Il mio certificato di nascita originale, come aveva fatto a finire in mano ad Alison! Volta, questo cognome mi diceva qualcosa ma neanche lontanamente immaginavo di avere un altro nome oltre a Nucleus.
“Adozioni illegali”, mi spiega Alison sotto voce. “E ci sono anche tutti i documenti di Gifter nostro.”
Inequivocabili quei dati: Sherlock Holmes Maggio, adottato come Adriano Sergio La Scala. Padre Bruno Maggio, il nome della madre biologica però era soltanto E. S. con a fianco una foto dal volto oscurato, che io però avevo riconosciuto benissimo dal camice che indossava.
Vedo Alison, in silenzio, digitare febbrilmente sullo smartphone fino a visualizzare in primo piano gli stessi identici documenti in una versione digitalizzata: “mio zio Raymond era coinvolto fin sopra i capelli, Nucleus; quanti bambini ha rubato insieme alla sua combriccola pensando di averli salvati. E ancora il traffico continua! Sono anni che faccio ricerche, minimo dal 2014 se non prima!”
Mi mostra alcune fotografie innocue, che Adri le aveva condiviso quando si erano conosciuti, ancora negativi, anni prima in America.
Ritraevano lui da piccolo in braccio ai genitori; “povero Gifter nostro, lui non sapeva niente ed era convinto che Beniamino La Scala fosse suo papà biologico, sono stata io a dirglielo e solo dopo il mio risultato positivo…”
Ali mi racconta che i sospetti le erano arrivati perché lo stesso volto di bambino innocente in quelle immagini, si vedeva in alcuni spot riguardanti il centro pediatrico “luce mia”, istituto di Bugliano specializzato nella cura della leucemia infantile tra gli anni 80 e 90: “nessuno li finanziava Nucleus, stammi a sentire; con quali soldi credi si potessero permettere tutte le loro tecnologie all’avanguardia se ogni ospedale a Bugliano cade a pezzi? Ora guarda caso, Luce Mia è rimasto come logo ma si è convertito in una casa famiglia per bambini abbandonati.”
Luce mia, luce mia. Cerco le immagini anch’io, a questo punto, e capisco al volo; sui documenti cartacei i dati si fermavano al 1998 ma in Internet no: quello è il nome laico della clinica San Teodoldo sulla cui pagina social il messaggio di presentazione, datato 2014, mostra la foto di una donna a volto coperto, ma con una giacca piena di note musicali ricamate dalle spalle a scendere:
“piccolo mio, lasciarti è il mio sacrificio più grande perché non posso amarti come vorrei; Jessika e Samantha Filibui si prenderanno cura di te amore mio.”
Le due sorelle sono ritratte in varie pose, con tra le braccia un bimbo il cui volto è sempre oscurato per tutelarne la riservatezza.
Faccia sfocata ma uniforme inconfondibile, solo una signora a Bugliano porta con sé le note musicali; una persona amatissima qui al Campus, legata al nome di un bambino diventato la mascotte di Bugliano: Lillo Filibui.
Arianna: twinkle, twinkle, little star
“Twinkle, twinkle, little star. How I wonder what you are… Una scena che dovrebbe essere la più normale e tenera del mondo, con una nonna che fa addormentare la nipotina cantandole una filastrocca.
E invece per Grace no, povera piccola; è stata costretta a vedersi negato questo affetto per circostanze che non dipendono da lei ma adesso è tutto finito, grazie al cielo! No, anzi, è il nostro HIV che dobbiamo ringraziare perché ci ha aiutato a resistere anche quando pareva impossibile. “Siamo libere”, sorrido alla signora che stringe ancora la bambina tra le braccia; “ma io voglio che sia Adri a mettere in prigione chi ci ha fatto tanto male!”
“Già, Sherlock mio. Devo continuare a chiamarlo Adri”, la donna sospira amareggiata mentre la piccola Grace, finalmente, chiude gli occhi. “Sono tanto orgogliosa di mio figlio ma devo mantenere il segreto. Io sono solo la dottoressa per lui, capisci? Quella che se ne frega della sua paura verso gli aghi e gli fa le punture. Se sapesse la verità…”
Come darle torto, io e lei siamo vittime del medesimo destino perché anch’io ho un figlio che mi odierà a morte, appena saprà! “No”, mi rassicura lei; “tu anche da lontano hai sempre controllato che Riccardo fosse al sicuro. Pur fingendoti morta hai sempre fatto in modo che lui ti sentisse vicina.”
Scuoto la testa; non c’è solo Riccardo, col mio secondo figlio però ho dovuto compiere una scelta drammatica uguale a quella di lei con Adri. Unico modo che avevo allora per proteggere il mio piccolo, senza l’appoggio della mia famiglia e in una situazione di alto rischio.
“Mi raccomando Arianna, se Alison ha conservato i documenti fai in modo che sia lei ad affrontare la cosa con Sherlock… con Adriano; è l’unica a poterlo aiutare ad assorbire il colpo!”
Maledetti quei fogli! Ricordo come fosse ieri il 2014, quando sono venuta in possesso della documentazione inconfutabile che ha stravolto l’esistenza a troppe persone.
Allora però la situazione era molto pericolosa e sono stata costretta a nascondere tutto, compresa me stessa; per fortuna in tale circostanza avevo accanto una persona di estrema fiducia, a cui ora sono ben contenta di dare una mano! Chi avrebbe mai immaginato che la peggiore allieva al corso di musica sarebbe diventata la migliore delle amiche. Non ci fosse Alison, a quest’ora…
Arianna, 2014: un segreto inviolabile
“Prof, le devo parlare!” Il mio allievo prediletto si presentò alla cattedra dopo la lezione; Valentino, bullizzato da insegnanti e compagni a causa del suo peso, era un talento nel pianoforte e lo incoraggiavo ogni giorno a studiare la musica che, ne ero certa, sarebbe diventata per lui un lavoro se solo avesse voluto.
Il nostro legame era molto più stretto di quello fra allievo e insegnante, e mi stupii di quel “Lei” con cui ormai non mi trattava più da mesi. “Cosa c’è, Vale”, gli domandai; attesi che l’aula si svuotasse finché restai sola con lui, poi chiusi la porta e aggiunsi: “non so se possiamo vederci come al solito da me, oggi pomeriggio. Anzi neanche sono certa se potremmo più vederci.”
Quel giorno stavo poco bene e non vedevo l’ora di tornare a casa, eppure se Valentino aveva corso il rischio di parlarmi sul luogo di lavoro doveva esserci per forza un motivo molto, molto serio.
Posato lo zaino sulla cattedra, il ragazzo ne tirò fuori una voluminosa cartellina chiusa da un lucchetto e io rimasi qualche minuto in silenzio osservando alcuni segni particolari in una copertina altrimenti anonima: la data “6 luglio 1998” e un simbolo di radioattività.
“Forse è per questa roba che non sto bene e mi salta il ciclo”, pensai tra me con lo sguardo fisso sul segno indicante il pericolo radiazioni. Ma riuscii solo a chiedergli di portar via tutto, chissà da quanti giorni veniva a lezione con questo materiale addosso?
“Sono documenti che scottano, Arianna”, mi avvertì a bassa voce; “li ho presi nell’ufficio dell’associazione Bugliano Lotta Anti Hiv ma non ho la chiave per aprire questo dannato archivio! Non è che tu potresti aiutarmi…”
Io cosa! Io cosa! Non mi diede il tempo di protestare perché mi colse di sorpresa con un bacio da cui non mi tirai subito indietro. “Siamo legati”, mi disse toccando il proprio sedere poi il mio; “tatuaggio biohazard completamente guarito, stessa posizione e colori del tuo.
Non era da lui una simile audacia e cercai di stemperare l’imbarazzo con l’ironia: “hai fame tu, o il virus?” Di solito ero io a prendere l’iniziativa e Valentino il super timido, quel giorno però la sua insistenza fu tale che non ne potei più: “Non voglio”, protestai; “mettimi ancora le mani addosso e inizio a urlare.” Forse per la suggestione, o la voglia di togliermi lui di dosso, ebbi per un momento l’impressione di sentire movimenti provenire dall’armadio in fondo all’aula; potevo fare qualunque cosa incluso andarmene, invece lasciai perdere! In più il mio corpo era sempre più scosso da inspiegabili malesseri.
“Ari, mia Gifter”, il ragazzo quasi piangeva mentre mi guardava negli occhi; “se questa è l’ultima volta che ci vediamo, promettimi che custodirai il mio segreto! Ti prego!”
Direi di sì, quale convenienza poteva esserci a svelare una relazione tra allievo e insegnante! Raccontare in giro che gli avevo dato il mio HIV ed era stato lui a chiedermelo!
“Non ti faccio nulla, Gifter Ari”, il suo tono si fece più grave, non prometteva nulla di buono. “Solo che l’associazione, la Blah, Bugliano Lotta Anti Hiv è una copertura! C’è roba grossa in queste carte e io lo so…”
Cosa c’entrava Blah col nostro legame, cosa sapevano gli altri membri di quel gruppo? Come poteva Valentino conoscere certi segreti se i documenti erano chiusi con un lucchetto senza chiave? Ma prima che potessi dire una parola in più, lui aprì una pagina Internet sul proprio tablet, un articolo di cronaca datato 6 luglio 1998.
Il giorno scritto all’esterno della cartellina! Nulla però che avesse a che fare col nucleare e il simbolo radioattività inciso accanto alla data.
“Non è uno scherzo, Gifter ascoltami ti prego…” Valentino continuò a sfogliare pagine Internet legate a quel caso specifico. Un tragico incidente domestico costato la vita a un negoziante di dischi che io conoscevo bene dai tempi dell’adolescenza.
“Io sono stato alle medie col figlio della vittima”, raccontò Vale; “Adriano era così cattivo con me ma lo faceva perché si vergognava di essere fragile. Non ha mai creduto all’incidente, era bambino e già aveva fame di giustizia per suo papà. E io non lo capivo, mi arrabbiavo sempre con lui…”
Povero Beniamino La Scala, amico di vecchia data dei miei genitori; era stato lui ad avermi trasmesso la passione per la musica e agevolato, nel lontano 1986, a ottenere i biglietti per il concerto a Wembley dei Queen. L’evento più importante e significativo della mia vita. “Se ora mi puoi chiamare Gifter è anche merito di Benny”, lanciai al mio allievo un’occhiata piena di lacrime; “ma tu come sai, cosa sai…”
“Adozioni illegali e c’era anche mio zio coinvolto”, una voce parlò da dentro l’armadio: non eravamo soli, i movimenti che sentivo erano reali!
Cos’avevano in comune Valentino e Alison, l’allievo migliore e la peggiore? Mica si saranno innamorati e accordati per mettermi in difficoltà?
Vederli sorridersi e abbracciarsi mi scrollò di dosso ogni incertezza: adozioni illegali, bambini… E se davvero i miei malesseri fossero ciò che temevo?
Uno sguardo a Valentino, uno ad Alison, e la decisione fu presa. L’errore più grande della mia vita costato la libertà a me, e la famiglia al piccolo Lisandro a cui hanno affibbiato il nome più stupido e ridicolo. Lillo.
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