MONDO REALE: 13 ottobre 2022. Sulle piattaforme musicali esce Face It Alone, inedito dei Queen, risalente al 1989.
Mondo Positivo: Freddie sente una vecchia canzone da lui registrata e mai pubblicata, e accetta l’idea di farla passare come musica nuova anche se col dissanguatore ancora in giro non si può permettere di incidere nuovi pezzi! Face It Alone però è un’ottima opportunità per far uscire il mitomane allo scoperto e catturarlo. Meglio non lasciar nulla di intentato.
Mondo Reale: Face it alone, inedito dei Queen
Erano giorni che su YouTube vedevamo in continuazione questo titolo. “Face it alone” come se ci fosse un annuncio di un evento particolare a cui non riuscivamo a dare un nome. E non ci abbiamo fatto troppo caso, presi come eravamo -e siamo- da situazioni lavorative e personali che ci tengono lontani da ciò che accade nel web.
Quasi casualmente però, giovedì 13 ottobre cercando un po’ di musica da ascoltare, sulla piattaforma digitale a cui siamo entrambi abbonati abbiamo trovato “face it alone, Queen”.
Come Queen? Cosa ci siamo persi? Noi siamo ammiratori, sì, ma non di quelli che stanno alzati fino a notte fonda per scoprire se il cantante o attore preferito ha prodotto qualcosa di nuovo; la curiosità comunque ci ha spinti ad ascoltare e svolgere alcune ricerche. Face It Alone è effettivamente un brano inedito!
Il 1989 è stato un anno difficile per la band; Freddie Mercury aveva capito ormai da due anni che la sua salute era compromessa e avrebbe avuto poco tempo da vivere così i Queen hanno lavorato sodo e in sinergia per incidere il disco “the miracle” uscito a maggio 1989, lasciando però fuori alcune tracce inedite fra cui questa Face It Alone.
Nelle interviste Brian May e Roger Taylor dichiarano: “ci eravamo un po’ dimenticati di questo brano, quando l’abbiamo ritrovato pensavamo di non poterlo più recuperare… Ma è bello sentirci ancora tutti e quattro insieme”. La tecnologia moderna fa miracoli, stavolta è proprio il caso di dirlo! Il 18 novembre 2022 esce The Miracle collectors edition, un cofanetto a tiratura limitata che contiene 6 cd con inclusi altri quattro inediti, un vinile, un DVD e altro materiale da collezione. Chissà, forse riusciremo ad averne una copia anche noi?
Parlando del brano, onestamente non ci è piaciuto molto; non sappiamo spiegare perché ma non ci dà una bella sensazione: malinconico, angosciante, il testo mette in evidenza la solitudine e paura ma anche la consapevolezza, che Freddie Mercury stava provando in quel periodo. Ma detta così, istintiva, ci sembra qualcosa di prodotto per forza: “incido lo stesso anche se non ne ho alcuna voglia”. Pazienza, è la nostra opinione a caldo che forse nel tempo potrà cambiare, vedremo.
Bugliano: l’audiocassetta ritrovata
“Vieni, Freddie, ti ho portato una cosa!” L’alieno Nucleus, con cui non sono mai andato veramente d’accordo, si è avvicinato alla mia stanza e ha bussato con forza mentre dormivo. Sarà stata mezzanotte o giù di là, il mio telefono segnava 13 ottobre ore 00 e qualcosa quando l’ho sentito urlare fuori dalla porta e, senza alzarmi dal letto, gli ho risposto che se proprio ci teneva poteva farmi vedere tutto quanto durante la colazione.
“No, insisto. Fammi entrare, gli altri non devono saperlo.”
Segreti degli alieni, probabilmente. Di malavoglia mi sono messo il pigiama onde evitare qualsiasi attenzione indesiderata; l’alieno si fa chiamare ChaserNucleus malgrado sia già positivo e so anche da chi ha preso il virus, ma quando gli ho aperto la porta neanche mi ha guardato: ha richiuso la stanza e immediatamente si è messo a rovistare nell’armadio e i cassetti.
“Freddie, o devo chiamarti Zach Nolan? Insomma vorrei capire come funziona questo affare. Dove si infila.”
Nucleus aveva in mano un’audiocassetta, senza etichette per identificarla. C’era solo una scritta sulla scatola, incisa da chissà chi e ormai cancellata; si leggeva solo “fa t a n”.
“Probabilmente si parla di fat man”, aveva ipotizzato l’alieno con le antenne; “so che molto tempo fa alcuni umani hanno tentato di distruggere la Terra con un’arma chiamata così. Quante radiazioni sprecate, avrebbero alimentato generazioni di creature come me. Invece le hanno utilizzate per ammazzarsi tra loro. Hai un lettore per questo affare? Per favore voglio sentire cosa raccontano del grassone radioattivo!”
L’ascolto
Non ci è voluto molto a trovare quello che Nucleus cercava: nell’ultimo cassetto ancora chiuso a chiave, tengo un vecchio registratore e alcune incisioni audio dei vecchi concerti, conservate per ricordare il mio passato. A nessuno do il permesso di toccare lì, così anche stavolta ho aperto con la chiave sempre tenuta al collo e ho tirato fuori il dispositivo a batterie, per fortuna ancora funzionante. L’alieno mi ha guardato inserire la cassetta nell’apposito vano e premere play…
Dopo qualche secondo di ronzio a cui non ero più abituato, è partita la batteria di Roger, insieme alla chitarra di Brian e il basso di John. La mia voce stanca, malinconica, angosciata a chiudere il cerchio.
“Nucleus, maledizione…” Mi è salito un nodo alla gola e ho ascoltato meglio il brano. Altro che “fat man”, questa si chiama FACE IT ALONE e con la radioattività non c’entra nulla!
Mi sono scese le lacrime pensando a quel lontano 1989. “Si può sapere dove cazzo l’hai trovata Nucleus? Hai in mano un tesoro senza rendertene conto!”
“I tesori nascosti della palude”, mi ha sorriso lui; “chissà quanta roba ancora c’è là sotto. Se lo stava mangiando il coccodrillo se non lo fermavo!”
E come avrà fatto una registrazione incisa a Londra, se non addirittura in Svizzera, a finire nella palude di Bugliano? Ho cercato di far mente locale, ascoltando la canzone dall’inizio.
“Sai Freddie, non hai idea del regalo che stai facendo al mondo. Con questa canzone distribuita anche ai Poteri Forti possiamo catturare il mitomane dissanguatore! Gli faremo credere che tu hai ufficializzato coi media di essere vivo dopo tutti questi anni, vedrai che quell’affamato di sangue virale ti si metterà alle calcagna e io sarò lì ad attenderlo!”
Ricordo, 1989: Face it alone
“Non c’è nulla da fare Freddie”, mi disse il dottore. “La malattia è progredita. Le tue difese immunitarie continuano a scendere, il virus ha vinto. A meno che, insomma, potrei farti entrare in un nuovo protocollo sperimentale ma non posso garantirti miglioramenti o persino guarigione.”
Due anni da quando lo stesso medico mi diagnosticò l’AIDS dicendomi senza mezzi termini che avevo poco tempo. Molti suoi pazienti nella mia stessa condizione non erano durati più di un anno, altri avevano superato i due ma erano morti prima di arrivare ai tre dalla diagnosi, io contavo i giorni perché ognuno poteva esser quello buono per lasciare questo mondo. Cosa sarebbe cambiato? Firmai senza dare troppo peso al contratto e me ne andai, consapevole di non aver molto da perdere. Funzionava e sarei migliorato? Non funzionava e sarei morto? Senza nuova sperimentazione sarei morto comunque, tanto vale provarci.
Arrivai a casa in silenzio e mi chiusi nella mia stanza con carta e penna, le parole uscite dalla mia mente passavano al foglio praticamente in automatico:
Quando qualcosa di così vicino e caro alla tua vita esplode dentro di te la tua anima brucia viva […] la vita è tua, sei responsabile di te stesso, sei padrone di casa tua. Devi affrontare tutto da solo…
“Sei responsabile di te stesso. Devi affrontare tutto da solo. Sei padrone di casa tua.” Tutte le volte che in quei due anni avevo continuato a darmi la colpa per quanto mi stesse accadendo! Potevo dire a quello sconosciuto di infilarsi il preservativo, potevo andarmene, potevo dirgli di no… E chi era, quello, poi? Chi mi aveva dato il virus? La risposta non arrivò mai.
“Sei padrone di casa tua, devi affrontare tutto da solo. Affrontalo da solo”. Da solo, da solo, da solo. Nel contratto della nuova cura era scritto: non parlarne ad altri. Questa era l’unica condizione che avevo letto e deciso di prendere alla lettera, né il mio compagno né altri dovevano sapere cosa stessi per fare e avrei dovuto attendere novità al telefono o di persona.
Fatto sta che Face It Alone, affrontalo da solo, divenne una canzone ma quando la incisi col gruppo mi resi conto che forse in un album chiamato The miracle, un testo del genere così angosciato, potesse risultare inopportuno e rimase lì per anni.
Così lasciai una copia della registrazione in studio, ma nascosi l’originale nella tasca della mia giacca: sarebbe stata la colonna sonora del mio nuovo percorso terapeutico, qualora fosse esistito davvero.
“Mi scusi, Mercury”, mi disse uno del mio staff appena raggiunsi la mia casa dopo aver passato la giornata in studio; la musica era la mia comfort zone e passavo più tempo a incidere che nella mia abitazione, il mio compagno dell’epoca e gli altri ci si erano abituati ormai.
“C’è una persona che vuole vederla. Un dottore, è giunto fin qui da, insomma non capisco se dall’America o dall’Italia. Non ha parlato molto, ha solo detto che cerca Lei.”
L’addetto del mio staff mi condusse dentro, in sala da pranzo, dove a capotavola era seduto un uomo intento a fissare una cartellina piena di dati.
“Mi chiamo Raymond Still”, si presentò lo sconosciuto. “E mi occupo di una importante sperimentazione sul virus HIV. Mi ha parlato di te il medico che già ti segue.”
Mai sentito questo nome, Raymond Still, ma la sua stretta di mano fu mille volte più eloquente delle parole; ispirava fiducia ma aveva una stretta decisa come per dire “prendere o lasciare, ora o mai più.”
“Parliamo nella tua stanza”, mi invitò senza lasciarmi la mano. E si arrabbiò quando gli chiesi se in realtà volesse provarci con me. “Allora vuoi morire di AIDS o vuoi una speranza?” si spazientì; “O nella tua stanza o niente.”
Poco da fare. Ci ritrovammo seduti sul letto e Raymond, cingendomi le spalle con un braccio, mi sussurrò all’orecchio: “Mi serve un bel po’ del tuo sangue.”
Lo guardai incredulo, e con un po’ di paura. Ma l’idea di andarmene rimase in sospeso; l’alternativa era la morte certa.
“Dovrò sottoporti a numerosi prelievi ogni giorno”, continuò Raymond. “La mia cura si fonda sulla capacità del virus HIV di allearsi con l’uomo. Non posso dirti altro, prendere o lasciare.”
Mi rassegnai e allungai le braccia, finché lui trovò una vena meno martoriata delle altre. Con tutte le flebo a cui ero sottoposto era già tanto trovare un punto libero!
“Ora veniamo a noi”, mi disse. “Ogni contratto che si rispetti ha bisogno delle garanzie. Mi devi affidare qualcosa a cui tieni, che ti restituirò se la cura – come credo – avrà successo.”
Guardò il mio gatto preferito accoccolato sul cuscino del mio letto, che faceva le fusa e aspettava le carezze. “Delilah non te la posso lasciare”, chiarii subito. “E neanche gli altri miei amici a quattro zampe. Ma forse qualcosa c’è…”
Frugai nella tasca della giacca ed eccola di nuovo: la cassetta di Face It Alone.
“Questa è ottima”, esclamò il ricercatore osservando il titolo del brano inciso. “Ottimo lavoro. Io e te siamo destinati a diventare un successo planetario.”
Tanto non la avrei contenuta in un album comunque, pensai tra me, e gliela lasciai.
Come però nel 2022 sia finita tutta sporca e quasi inservibile nel punto più inospitale della palude a Bugliano, non saprei spiegarlo. Ray è morto di cancro diversi mesi addietro, forse qualche suo amico voleva profanarne la memoria portandogli via gli oggetti più cari?
Fatto sta che ora la canzone è disponibile per tutti, poteri forti e meno; eppure anche sentendo musica nuova con la mia voce, i cittadini governati dai Poteri Fortissimi continuano a dire che sono morto. Lasciamoli crederlo.
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