Italiano
English

Maria Sole 02: il terzo incomodo

Aggiornato il:

Da:

Serie:

MONDO REALE: il giornale “The Sun” nel 1987 rivela che un ex amante di Freddie Mercury è morto per AIDS. A vendere l’informazione è stato Paul Prenter, ex manager dell’artista, deceduto nello stesso modo pochi mesi prima di Freddie.

FANTASIA: moglie da poche settimane e in procinto di partorire, Maria Sole legge su un giornale scandalistico che il suo vero grande amore potrebbe avere l’AIDS e, dalle poche informazioni a sua disposizione, capisce che forse anche la piccola è in pericolo…


1987, Maria Sole: reclusa

“You are my sunshine, my only sunshine”. Camminai avanti e indietro per il salotto di casa con le mani strette sul pancione intonando sottovoce il ritornello; il giorno del parto si stava avvicinando sempre di più e la bambina era la mia sola ragione di vita perché non vivevo più in una casa, ormai era diventata una prigione da cui mi era permesso uscire soltanto se l’uomo che avevo sposato non aveva più bottiglie in frigo.

“You are my sunshine, my only sunshine…” Anche la voce misteriosa, il mio angelo custode, mi faceva eco quando cantavo e avevo la sensazione che me la stesse dedicando, come aveva fatto il mio grande amore rockstar dopo la magica notte in cui concepimmo la nostra piccola.

Mi era proibito leggere, ascoltare musica o coltivare amicizie perché per Vladimir ero solo una serva che gli dormiva a letto senza ricevere da lui alcuna attenzione, a parte darmi un calcio per svegliarmi la mattina.

Non gli importava se la gravidanza mi faceva sentire sempre più stanca e pesante; dovevo comunque portargli la colazione a letto, possibilmente insieme a un bicchiere di vodka, uno dei tanti che lo accompagnavano fino a sera.

Poi, verso le dieci, passava sempre suo nipote a consegnargli i quotidiani ma non ero autorizzata a presentarmi. Una sola volta l’avevo visto di sfuggita, era un bel ragazzo della mia età e, quando suo zio lo salutò, capii che il suo nome era Adrian.

A me più si vietavano le cose più diventavo curiosa, così una mattina restai accovacciata dietro la porta mentre Vladimir discuteva con Adrian; pur capendo poco di russo, intuii che il ragazzo non gradiva come lo zio trattasse lui e me. “La tua bambina ha bisogno di una famiglia”, ancora una volta nelle orecchie sentii le parole di mio padre. “L’hai concepita con un bastardo che pensa solo alla musica, quello andrà con gli uomini e si drogherà, ci scommetto…” Sì, e Vladimir che beveva come una spugna?

“Ogni famiglia ha i suoi conflitti”, pensai tra me e feci un passo verso la porta. Dovevo almeno capire se le mie sensazioni fossero vere.

Ci scambiammo solo un fugace sguardo, ma ebbi l’impressione che gli occhi di Adrian volessero parlare al mio cuore. O forse era tornato il ricordo del mio idolo? L’unico ad ascoltarmi fu di nuovo il mio misterioso amico invisibile.

“Il cuore mi sta scoppiando”, gli dissi; “non ti ho mai visto né so chi sei eppure non riesco più a fare a meno di te.”

“Sì ho capito, lo so. Anch’io. E allora? Ho da fare adesso…”

Forse stavo impazzendo davvero, come potevo amare una creatura che viveva solo nella mia fantasia!

“Mi hai stancato Maria Sole”, la voce non aveva più il solito tono rassicurante e sembrava perdere la pazienza per un motivo a me sconosciuto.

“Io proteggo te, e la bambina, ma tu cosa fai per me? Niente. Ne ho abbastanza di aspettare lo sai?”

Mi toccai la pancia, contando i giorni: “mancano due settimane al parto se è questo che chiedi… ma…”

Silenzio. La voce sembrò scomparire come la settimana prima del matrimonio. “Ho perso la testa”, sussurrai con gli occhi rivolti a terra; “sono sola, nessuno mi dà attenzioni, io… io vorrei solo essere amata.” Ancora silenzio, indifferenza, così mi rassegnai a mangiare un frutto e stendermi sul divano ma a bassa voce continuai a cantare il solito ritornello: “you are my sunshine, my only sunshine” con la bambina che, forse sentendo la ninna nanna, mosse i piedini dentro di me e ben presto calò il silenzio della sera, rovinato solo dal pesante russare di Vladimir in camera da letto.

Niente angelo custode a salutarmi, allora mi adattai a chiudere gli occhi ma appena il sonno si impadronì finalmente di me, sentii qualcuno infilare le chiavi sulla porta.

“Posso entrare?” No, impossibile, c’era Adrian! Il nipote di Vladimir stava parlando con me! Alzai la testa, scrollai le spalle e mi guardai subito intorno: il ragazzo era davvero presente, in carne e ossa, e piano piano mi si avvicinò.

“Lo zio dorme”, gli sussurrai e lui osservò la porta chiusa della stanza da letto come a scongiurare l’eventualità di essere colto con le mani nel sacco.

“Sole, ti ho portato questo”, aveva in mano un giornale scandalistico e si sedette sul divano accanto a me. Da quanto tempo non leggevo più le storie disimpegnate sulle celebrità, mi sembrava quasi una ventata di aria fresca dopo giorni di segregazione.

“Ho pensato che potesse interessarti,” disse, porgendomi il giornale. “Ma… forse dovresti prepararti.”

“In che senso?” chiesi, col cuore che iniziava a battermi forte e la voce di Adrian a trasmettermi una paura inspiegabile.

Incerto lui guardò la copertina, poi mi passò la rivista. Le mie mani tremarono mentre sfogliavo una pagina dopo l’altra, finché il mio sguardo si bloccò su alcune parole che mi fecero sobbalzare: omosessualità, ex amante morto, AIDS.

Il giornale mi scivolò a terra. Il nome dell’uomo che avevo amato con tutta me stessa stava lì, inequivocabile, legato a quella storia drammatica. Strinsi le dita sul mio pancione e mi morsi le labbra, incapace di pronunciare un singolo suono.

Io, i miei amici di Bugliano, ognuno di noi aveva avuto un incontro con lui e adesso? Per me, per la bambina, no, non potevamo esserci contagiati tutti! Non poteva la mia piccola pagare per le mie scelte!

Adrian si chinò e raccolse la rivista, anche lui colpito dalla notizia: “beh, Sole, fossi in te non andrei in panico. Chissà anche se è vero! Sai stronzate che scrivono questi tabloid! Però c’è una cosa che dovresti sapere…”

“Non… Non capisco…” Il nodo alla gola mi impedì di formulare una frase intera. “Cosa vuoi dirmi, cosa vuoi da me…”

Mi guardò negli occhi, dolce e aggressivo allo stesso tempo: “Lo zio mi racconta che tu la sera parli da sola, è vero?”

Uno, due, tre, respira. Cercai di mettere in pratica il metodo imparato per non agire d’impulso nei momenti difficili. Quattro, cinque, respira… Il mio volto paonazzo valeva più delle parole e Adrian annuì serio: “ah, sì? Interessante!”

Appoggiare la testa sul bracciolo del divano mi parve l’unico modo per sfuggire a quello sguardo penetrante. “Sono una donna incinta, e parlo con la mia bambina! Ti sembra così strano?”

Lui si schiarì la gola e scosse il capo, battendo con una mano sul giornale: “fosse solo quello! Zio ha parlato di una voce, qualcuno con cui ti confidi a notte fonda. Poi vai in bagno col broncio ed esci ridendo… Stai giocando col fuoco, bella mia. Io ti avverto.”

Mi morsi le labbra ancora più forte, colpita mio malgrado da quelle parole. “Adrian! Cosa… Non capisco cosa intendi…” Quando vivevo a Bugliano mio padre ogni tanto raccontava di un vecchio zio internato in psichiatria perché sentiva le voci, e se un problema uguale fosse capitato a me forse avrei danneggiato anche la mia piccola. Il mio amore forse con l’AIDS, io forse impazzita, quale poteva essere il problema più gestibile?

“Ti voglio essere amico”, Adrian mi parlò all’orecchio; “se a dialogare con te è chi penso io è un essere diabolico che tu non devi ascoltare, per nessuna ragione al mondo.”

Con ogni parola quel ragazzo era capace di distruggere le mie certezze una a una. Ma prima che io potessi replicare, sentii la voce del mio amico invisibile più forte e chiara che mai.

“Lascia perdere quell’umano, Sunshine. Lui è negativo e non può capire. Io, te e la piccola viviamo in simbiosi e nessuno ci farà del male. Promesso.”

Mi alzai in piedi allontanandomi da Adrian, le mani strette sul pancione; qualcosa di inspiegabile mi faceva sentire così diversa e lontana dal ragazzo che fino a poco prima speravo diventasse un nuovo amico!

“Senti”, continuò a insistere lui muovendosi verso la porta d’uscita. “Io sono venuto qui per avvisarti di un pericolo, tu fai come vuoi. La vita è tua.”

Senza aggiungere altro, il giovane chiuse la porta dietro di sé e io rimasi sola sul divano ancora col giornale aperto. Nessun’altra notizia mi interessava più, restai concentrata sul volto del mio grande amore abbracciato a un uomo sconosciuto e palesemente malato.

“Sunshine, non devi aver paura di me, sono qui per proteggerti!” Si fece sentire di nuovo, il mio angelo custode più premuroso che mai.

“Ho capito che non sei umano”, la sua voce era calma a tal punto da farmi dimenticare ogni diffidenza. “E neanche un fantasma. Ma perché Adrian ti sta così antipatico?”

“Sole, Sole, piccola Sunshine”, la creatura mi parlò con una risatina maliziosa. “Io sono l’unico che tiene davvero a te e la nostra bambina. L’unico che può salvarti la vita in caso di pericolo grave…”

“Se mi vuoi davvero bene allora vattene!” Non ce la facevo più ormai, e gli occhi mi si chiudevano per la confusione e la paura.

“La simbiosi tra me e voi umani è per tutta la vita mia cara, e con le vostre forze non siete in grado di cancellarmi.”

“Allora è vera la storia di quel vecchio zio impazzito, sento anch’io le voci!” Con questa consapevolezza non riuscii più a trattenere il pianto, lacrime calde scesero dai miei occhi fino a cadere sul giornale, proprio sulla foto che ritraeva il presunto amante del mio idolo.

“Sunshine cara, è difficile anche per me! Quando sono arrivato ho dovuto subito dividermi il tuo corpo e il tuo amore con quella bambina. Io e lei siamo nati insieme…”

“CHI SEI”, mi misi a urlare; “DIMMELO ADESSO! NON VOGLIO una figlia che soffre come soffro io!”

“Lei non soffrirà”, ribatté serafico; “perché io ho accompagnato il seme del tuo idolo nel tuo uovo e adesso sto crescendo con la tua piccola.”

Chi si trasferisce dall’uomo alla donna, oltre al seme? Perché un angelo di Dio dovrebbe parlare in quel modo? Perché l’entità invisibile sostiene di crescere con la bambina? Per ogni domanda solo una spiegazione mi pareva sensata, e non era piacevole.

“Dimmi chi sei, ti prego, consentimi almeno di chiamarti, darti un nome. Forse ho capito ma lo vorrei sentire da te.”

“A patto che da questa sera non dormi più nel letto con quel negativo di Vladimir. Intesi?”


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *