Mentre Maurizio Tarocchi si sforza di capire cosa Adri intendesse per “terzo indizio”, Lidia Prando arriva a Bugliano senza avvertire. Le indagini sul diario di Jenny, nel frattempo, continuano.
Maurizio Tarocchi 15: il terzo indizio
25 luglio 2018. Preparazione.
Un uomo travestito da Flash, a passo veloce, camminava a piedi per il centro di Bugliano quando un gruppo di giovanissimi manifestanti lo costrinse a fermarsi, sbarrandogli la strada. Ognuno portava uno striscione con la scritta “ridateci scuola —> o curateci l’AIDS”, e l’improvvisato super eroe cercò di farsi largo tra la folla.
Alcuni ragazzi iniziarono a schernirlo e altri lo invitarono a unirsi al gruppo, meravigliati forse dall’inconsueto travestimento ma lui a forza di spintoni uscì finalmente dalla calca.
“Possibile che facciano una manifestazione studentesca in piena estate”, pensò tra sé, ed estrasse il cellulare dalla tasca ma solo per accorgersi che l’apparecchio non dava alcun segno di vita.
Lanciando maledizioni al mondo intero, percorse ancora qualche decina di metri fino alla stazione ferroviaria, dove un uomo vestito da Batman era in piedi in attesa accanto al tabellone degli orari.
“Flash, eccoti, sarà mezz’ora che aspetto; perché diamine hai il telefono spento?”
“Mi si è scaricato e poi ho dovuto gestire un imprevisto.”
L’uomo mascherato da Batman imprecò a bassa voce e strinse i pugni verso il suo amico; scesero le scale del sottopassaggio ma si fermarono a metà, dove in quel momento nessuno stava passando.
“Non è come pensi, Batman”, spiegò l’uomo con la maschera di Flash. “Imprevisto cattivo che poi è diventato buono…”
“Lascia perdere”, il super eroe più anziano furibondo prese l’altro per un polso e lo spinse contro il muro. “Non mi dire che Superman ha parlato.”
“Niente paura, il quaquaraquà non aprirà più bocca, c’ha pensato Ironman a levarlo di mezzo.”
“Mica parli sul serio”, ghignò Batman guardandosi intorno. In lontananza una donna con una valigia stava percorrendo la loro stessa strada, così i due a malincuore si presero per mano fingendosi una coppia.
“Non ci avrei scommesso un centesimo ma quello è spregiudicato peggio di noi! Gli ho anche lasciato il cane, sperando che non abbai troppo.”
“Me lo auguro per te”, Batman parlò all’orecchio di Flash. “Perché stai frequentando troppo quelli del medaglione col rischio biologico e tutto ciò non è bene.”
“Abbi fiducia capo, so come prenderli. Soprattutto il loro boss. Li ho in pugno, credimi!”
Bentornata, Lidia
Lidia Prando era scesa dal treno con gli occhi gonfi di pianto. Trascinò la valigia senza guardarsi intorno fino a raggiungere le scale, dove scorse due uomini mascherati da Batman e Flash avviarsi mano nella mano verso un’auto parcheggiata lì vicino e per un istante le lacrime lasciarono il posto a un lieve sorriso: “Quanto sono carini”, pensò. “Festeggeranno la loro unione civile vestiti da super eroi!”
La donna si avviò verso i taxi ma suo malgrado si trovò in fondo a una coda interminabile, accanto a una ragazza che teneva per mano un bambino sugli 8 anni, entrambi impazienti per la lunga attesa.
“Questa fila non finisce mai”, si lamentò la giovane mamma. “Se ritardo ancora perderò l’ennesima occasione.”
“Il primo che si libera saliamo tutte e due”, propose Lidia. “Dove è diretta, signora?”
“No, dammi del tu! Mi chiamo Lara, e questo teppistello qui è mio figlio Lorenzo. Dovremmo andare a trovare, a conoscere, un paio di persone.”
Finalmente un taxi si fermò facendo scendere una coppia di anziani e le due approfittarono per salire. Lidia sul sedile passeggero mentre dietro avevano preso posto Lara e Lorenzo.
“Devo andare in via Nureyev 85”, Lara diede al tassista l’indirizzo e Lidia le sorrise: “cosa ci vai a fare, conosco il tizio poco raccomandabile che ci vive…” Ma l’altra si limitò a un cenno di diniego e un mezzo sorriso rassegnato.
La vettura si fermò all’indirizzo indicato da Lara, ma quando lei allungò 20 euro al tassista Lidia volle pagare la corsa così la giovane madre, assieme al bambino, si avviò verso il campanello dell’abitazione.
“Tutto bene signora?” domandò il tassista quando l’auto ripartì con Lidia ancora a bordo. “Posso aiutarla?”
“Può solo portarmi… portarmi…” Gli diede un indirizzo poi, il volto girato verso il finestrino, estrasse lo smartphone dalla borsa; restò con l’apparecchio in mano per qualche minuto, la punta del pollice a sfiorare il nome di un contatto poi scosse il capo e ripose il telefono senza più dire una parola finché il taxi non si fermò a destinazione.
Chi è morto?
A casa Undet leggeva ancora il diario di Jenny, concentrato sulla pagina del 23 novembre 2015. Era l’ultima e infatti la grafia si presentava molto meno nitida: la scritta “lei s’innamora” sotto il disegno di un uomo e un ferro da stiro, entrambi stilizzati.
“Oltre agli anagrammi i rebus”, si rivolse a Tarocchi ma lui non seppe cosa rispondergli. Adri invece era al computer e se la rideva su un social network, come se il caso non lo riguardasse.
“Non le hai tutte a posto”, gli disse Maurizio. “Che minchia ci sarà da ridere io non lo capisco. Possiamo sapere che diavolo stai guardando?”
“Leggete qui se non mi credete”, il profiler indicò un articolo in primo piano con diverse reazioni e commenti. “Hanno trovato un uomo carbonizzato in una macchina andata a fuoco, davanti alle piscine comunali di Bugliano! Vi garantisco che pure voi ridereste se aveste aperto l’articolo invece di fermarvi solo ai titoli.”
Rassegnatosi a leggere il pezzo fino alla fine, Undet si lasciò scappare un gesto scaramantico verso il collega.
“È di Adriano La Scala, criminologo di fama internazionale, il corpo rinvenuto nell’auto carbonizzata…”
“Si dà il caso che io sia ancora vivo”, scherzò il profiler; “e che tu non faccia certi gesti poco carini perché qui abbiamo un bambino!”
Maurizio lesse i commenti al post: la maggioranza delle reazioni era negativa, da chi faceva le risatine a chi addirittura scriveva che Adriano La Scala avrebbe dovuto togliere il disturbo molto prima.
“Adesso userò la situazione a mio vantaggio”, annunciò Adri suscitando la reazione indignata di Tarocchi; “lavorando sotto traccia è più facile cogliere i criminali in flagrante. Continuino pure a darmi per morto, questi stronzi!”
“Hai davvero perso la ragione”, sospirò l’ex commissario siciliano; “sei fuori da ogni etica.”
“Maurizio! Con due donne, due bambini e un uomo morti ammazzati io non mi faccio più scrupoli! Ho sufficiente esperienza per riconoscere un omicida seriale e sono disposto a catturarlo con ogni mezzo che tu sia d’accordo o meno. Ti ho già lasciato spazio una volta…”
Era ancora vivo in entrambi il ricordo del caso a cui avevano lavorato anni prima: il piccolo Riccardo Leotta, morto dissanguato, dove Adriano insisteva con la tesi del serial killer; anche la mamma del bimbo si era poi uccisa e la nuova consapevolezza colpì Maurizio come una pugnalata al cuore.
“Sarà come dici, ma da nessuna parte c’è la firma dell’omicida, non c’è un vero modus operandi.” Mauri si schiarì la gola, conscio di non avere alcun argomento per giustificare orgoglio e superficialità; cambiare discorso allora gli parve il modo migliore per uscirne pulito. “Ascolta, facciamo un passo indietro. Se ricordi a chi hai venduto la macchina, identificheremo il morto. Forse.”
Il profiler osservò la foto dell’auto andata a fuoco: la parte davanti era irriconoscibile, ma un graffio sulla portiera del passeggero gli fece tornare in mente un ricordo.
“Due anni e mezzo fa, sì, certo… Uno sloveno che mi ha pagato bene. Molto più di quanto valesse questo rottame. Almeno ora la demoliscono davvero!”
Maurizio e Undet furono colti da un’intuizione e si scambiarono uno sguardo d’intesa, prima di rivolgere la domanda al collega: “Senti un po’, Adri. Jenny? Era morta prima o dopo che hai venduto la macchina?”
Il terzo indizio
Il criminologo restò un attimo in silenzio e guardò sul telefono le foto della povera ragazza deceduta, con le date che gli ricordavano quella passata e burrascosa relazione. “Due mesi dopo, se volete saperlo. Ma non capisco cosa c’entri lei”, replicò indignato. “Cosa volete insinuare!”
“Uno sloveno”, Maurizio cercò di riflettere ad alta voce. “E ti ricordi come si chiamava?”
Adri abbassò lo schermo del computer portatile, sempre più dubbioso per le domande impertinenti dei colleghi ma tentò di ricordare il passato. Rivide se stesso raggiungere la stazione dei treni con la vecchia auto e scendere senza esitazioni, felice di liberarsene.
Un uomo a volto coperto da una maschera lo aveva raggiunto poco dopo trasportando una valigetta e gli si era presentato stringendogli la mano: “piacere, Goran See”.
“In effetti, ora che mi ci fate pensare, il nome è sloveno ma non l’accento. Goran See vestito da Superman, ho preso i soldi senza farmi domande sulla loro provenienza perché mi serviva sia il denaro, sia sbarazzarmi di quel ferro vecchio.”
“Goran See”, Maurizio Tarocchi aveva preso l’abitudine di scrivere ogni nome e parola sul bordo del tavolo. “Goran … See … Minchia Adriano, è l’anagramma di Ragonese. Quel mascalzone te l’ha fatta sotto il naso, grande esperto di serial killer quale sei!”
“Inutile che mi giudichi, Mauri. Se per un rottame invendibile ti offrissero diecimila euro in contanti, cos’avresti fatto al mio posto?”
L’ex commissario esitò un momento, indeciso su cosa rispondere: “Il problema qui non sono io, sono tutti quei soldi in mano a un morto di fame come Ragonese.”
“Tarocchi scusami, davvero non capisco dove mi vuoi portare, cosa c’entra Jenny col nostro Superman?”
“Il terzo indizio? Forse lui aveva scoperto qualcosa sulla compagna Lolli, relativamente a Jenny e il suo povero fratello Riccardino, perciò sarà stato pagato per tacere.”
“Io ho un’altra idea”, suggerì Undet. “Forse sapeva i piani di Lolli contro la povera Jenny e non potendo più fare molto per salvarla, ha voluto comprare la tua macchina per darti una specie di risarcimento. Che ne pensi, Adri?”
“Diecimila euro!” urlò il profiler, sbattendo i pugni sul tavolo. “Mi state dicendo che accettando quei soldi ho aiutato l’assassino della mia piccola?”
“Ehi, ehi, calma. Nessuno ti sta accusando”, Maurizio cercò di stemperare la tensione. “Potrebbe aver ragione Undet! Ragonese era senza scrupoli ma non ce lo vedrei a gestire un giro di veleni e adozioni illegali. Chissà, Lolli gli avrà chiesto di vendere il bambino e lui ha avuto un rimorso di coscienza.”
L’agente profiler si sfregò le mani, come a volersele pulire. “Che schifo”, esclamò a labbra socchiuse; “prima lo pagano per sputtanarmi e dopo si compra la mia macchina.”
Recuperò dal sito della tv nazionale il telegiornale di pochi giorni prima e bloccò il video sull’immagine dove lui e Maurizio erano immortalati in auto, fermi a un semaforo. “Questa risale alla vecchia indagine su Riccardo! Dannazione a me.”
“Già, povero Ragonese. L’abbiamo mandato al diavolo ma se gli avessimo parlato…”, si arrabbiò Undet, lo sguardo ancora fisso sul diario di Jenny. “La scritta ‘Lei s’innamora’, poi il ferro da stiro. Per me la chiave sta su questo maledetto rebus.”
Il maestro Marco
“Inutile piangere sui morti”, Maurizio tagliò corto e prese la situazione in mano; “pensiamo alle persone vive perché è tutto sotto i nostri occhi.”
Stringeva fra le dita il foglietto su cui poco prima Jonathan aveva disegnato un uomo, che Adri considerava come troppo simile a Elias. Era questione di tempo e Tarocchi ormai non voleva più stare un passo indietro: “secondo me il tuo ragazzo è ancora vivo”, disse rivolto al profiler. “E il bambino lo conosce meglio di te.”
Povero piccolo, suo malgrado era in una situazione più grande di lui e risultava impossibile fargli vivere la spensieratezza dell’infanzia anche solo per un momento; quando Adri si avvicinò con cautela al bambino ancora intento a risolvere Sudoku, Jonathan gli rivolse un grande sorriso e accettò di seguirlo.
Fu Maurizio però a farsi coraggio e gli porse il ritratto di Elias.
“Forza mio piccolo guerriero. Mi vuoi raccontare chi è l’uomo del disegno? Ti ha fatto del male?”
Il ragazzino scosse la testa quando vide il post-it, e lo spinse verso il bordo del tavolo dove Adri fu svelto a recuperarlo, stringendolo come se dal foglietto dipendesse la sua vita.
“Io, Undet e Mauri ti proteggeremo, piccolo mio. Ma dimmi: sei sicuro, sicurissimo che il cattivo è lui?”
“No, no, Adri, no! Lui è Marco, l’uomo degli anagrammi. Il maestro più bravo del mondo!”
Il silenzio si impadronì di tutti nella stanza e Maurizio aggrottò la fronte, fissando il disegno; doveva capire cosa stesse accadendo, con le buone o le cattive maniere. Anche Undet guardò l’immagine e lanciò un’occhiata a Adri, che annuì malinconico.
“C’è davvero qualcosa che non torna, Tarocchi: stiamo brancolando nel buio peggio di prima. Tu, profiler tuttologo, non dici un cazzo di niente?”
“Undetectable Detective! Stai calmo e smettila di dire parolacce davanti a Jonathan, porca pu … Sì, ecco, diamoci tutti una calmata!”
“Io ho fatto solo quello che mi ha chiesto il tuo amico Rocco”, piagnucolò il bambino. “Disegnare una persona a cui voglio bene.”
Per i tre amici poliziotti la realtà era ormai palese e si scambiarono uno sguardo complice: avrebbero cercato il maestro Marco, o chiunque fosse, anche in capo al mondo.
“Quelli cattivi non mostrano la faccia, hanno sempre le maschere. Superman, Batman, Flash, solo Ironman è stato buono con me.”
“Non stiamo andando lontano”, sospirò amareggiato Tarocchi. “Ascolta piccolo: se non vuoi aiutarci coi disegni, cosa dici se guardiamo gli anagrammi?”
Arrabbiato, Undet si alzò dalla sedia per avviarsi verso l’uscita ma Adri gli sbarrò la strada. Solo Maurizio restò col bambino, forse ancora legato al ricordo di quando in gioventù aveva sventato un traffico di armi proprio con l’aiuto di un piccolo testimone orfano come Jonathan.
“Se quell’uomo vuole giocare con me, andremo fino in fondo! Forza ragazzino, cominciamo. Com’era la storia del mare? E delle armi?”
“Il mare, le armi. Sposti le lettere. Come Maurizio, sì, io posso chiamarti zio Mauri?”
Tarocchi annuì e tornò alle scritte sul diario di Jenny: se “Enrico sa”, “Sera Nico” e Arsenico erano semplici, diverso era per l’ultima. Prese il controllo del computer e digitò “Lei s’innamora”, ma senza dare peso all’omino e il ferro da stiro presenti sul diario. Mai si era trovato così bloccato tra due fuochi, da una parte il cursore lampeggiante e dall’altra lo sguardo innocente di Jonathan che osservando lo schermo continuava a dire frasi apparentemente insensate:
“Rimane l’asino, ma non la miseria… Lei s’innamora, seni in malora… Non sia il mare, lei non sa rima!”
“Mi fai uscire di senno”, Maurizio brontolò sottovoce ma si rassegnò a scrivere tutte le frasi che il bambino gli suggeriva e solo dopo aver riempito diverse righe capì il trucco: erano tutte formate dalle stesse lettere.
“Marco mi ha detto le parole ma senza darmi la chiave”, si lamentò il piccolo. “L’anagramma è come una porta chiusa e per aprirla ci vuole…”
Con due click del mouse, Jonathan eliminò tutte le parole dal computer e senza che gli adulti potessero impedirglielo, digitò l’ennesima composizione: “non sai le armi”, poi tornò sul divano.
Erano a un punto morto: due frasi, tre disegni e un bambino che pareva essersi ormai chiuso definitivamente nel proprio mondo invalicabile. Fra tutti però, Adri appariva quello in maggiore difficoltà. “Alzo le mani”, disse agli altri; “sono un profiler, non uno psicologo infantile!”
“Un attimo però”, Undet sbirciò lo schermo del computer poi picchiò sul tavolo col pugno. “Certo, sì, come cazzo ho fatto a non arrivarci…” Guardò il ritratto di Elias, poi si rivolse a Jonathan: “piccolo, come hai detto che si chiamava il super eroe? Quello buono con te?”
“Iron man”, il bambino parlò con la faccia rivolta allo schienale del divano. “Iron man. Era bravo. Ma è andato via.”
“Iron Man”. Era fin troppo semplice eliminare dalla frase al computer le lettere che formavano il nome del super eroe. “Non armi”, Adri lesse ad alta voce la risultante. “Rimane solo il resto …” I suoi occhi si riempirono di lacrime e determinazione allo stesso tempo. “‘Sai le’. Al contrario esce ‘Elias’, e io non avevo capito niente. Bisogna trovarlo, anche a costo di rischiare la vita.”
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