Ci prendiamo una piccola pausa dal Mondo Positivo perché un nostro follower ci ha consentito di approfondire una vicenda proveniente dal periodo tragico dell’AIDS, quello in cui se n’è andato anche Freddie Mercury. La storia è quella di David Kirby.
Il periodo tragico dell’AIDS
“Che te lo dico a fare”, si chiederebbe qualcuno; ma se ora mezzo mondo crede che l’AIDS sia acqua passata e ha smesso di parlarne mentre nell’altro mezzo la gente muore perché non può economicamente permettersi i farmaci salva vita, c’è stato un tempo in cui morivano tutti come mosche, Freddie Mercury compreso. Gli anni 80 e 90, dove la poca conoscenza e le campagne basate sullo stigma anziché sull’educazione, hanno appesantito una tragedia già grave di per sé: ospedali pieni, interi gruppi di persone che morivano senza avere alcun rimedio, soprattutto nel mondo LGBT+ dove lo stigma era (ed è ancora) pesantissimo.
Forse alla politica omofoba questa tragedia ha fatto e continua a far comodo, visto che ancora oggi non vengono messe in atto campagne di prevenzione e informazione basate sugli ultimi progressi scientifici lasciando ancora spazio a una narrazione stigmatizzante che alimenta la sierofobia. Allora viene automatico pensare a quelle persone morte troppo presto, uomini e donne che pur nella loro breve vita hanno lasciato un’impronta nel mondo e, stavolta, è proprio il caso di dirlo.
David Kirby
Forse alla maggioranza delle persone questo nome non dice niente, ma quest’uomo di 32 anni ha il merito di aver fatto conoscere al mondo intero gli effetti reali che l’AIDS aveva sul corpo, conosciuti prima solo da chi, volontario od operatore, lavorava negli ospizi in cui venivano assistiti i pazienti.
Anzi, diciamo le cose come stanno: se conosciamo la storia di David, è stato grazie a Therese Frare una volontaria che seguiva i pazienti in un ospizio a Columbus, e autrice della foto in questione, in grado di commuovere il mondo a quell’epoca.
David è stato uno dei tanti, troppi, ragazzi che si sono ammalati a fine anni 80; attivista LGBT in California dopo essersene andato dall’Ohio sua terra di origine, ha ricontattato i genitori quando ha saputo di essere in AIDS conclamato, con l’intenzione di avere la propria famiglia vicina nell’ultimo periodo della propria vita.
La madre di David, Kay Kirby, ha autorizzato Therese Frare a scattare la foto prima della morte del ragazzo a patto che l’immagine fosse utilizzata liberamente ma senza scopo di lucro. E così è stato, le volontà di David sono state rispettate e, secondo la rivista Life dov’è stata pubblicata, “l’immagine ha cambiato il volto dell’AIDS”.
Fino ad allora questa condizione veniva relegata agli ospizi, una volta che eri malato eri condannato a morte e basta; la foto di David Kirby invece ha scosso l’opinione pubblica e, forse, contribuito a dare un’accelerata alle campagne di sensibilizzazione.
Anche se va detto, permettere a una foto di girare libera significa darla in pasto anche a gente con meno scrupoli: l’immagine è stata usata da una nota marca di abbigliamento, qui non facciamo il nome ma San Google aiuta sempre… In quel caso l’immagine è stata pure oggetto di polemiche da parte della chiesa perché qualcuno poteva associarla a Gesù, lasciamo perdere che è meglio; ci limitiamo solo a constatare che onestamente l’immagine di una persona che soffre, poco ha a che vedere con i vestiti, ma ormai è inutile parlarne perché da quello spot pubblicitario sono passati trent’anni e non vale la pena dargli ulteriore visibilità.
Da ricordare ci resta solo il coraggio di tre persone: la signora Therese Frare e la signora Kay Kirby, rispettivamente per aver scattato la foto e autorizzato la sua diffusione, e naturalmente David Kirby, il ragazzo morto. Che sicuramente non è morto invano.
David Kirby: la fonte
Un ringraziamento speciale va a Simone, uno dei nostri follower, gestore di un blog sulla cultura generale che spazia da articoli sulla storia o sul cinema, sull’arte, il true crime, e anche vicende come quella di David Kirby.
Lascia un commento