Attina e Ariel sono arrivate sulla terra e iniziano a scoprire il mondo che, tutto sommato, non è cattivo come sembra…
Tra i due mondi 03 – arrivo sulla terra
Dopo aver attraversato gli scogli le due sirene decisero di riposare un po’ sdraiandosi al sole con le pinne in acqua ma Ariel, amareggiata, non smetteva di fissare una specie di ponte poco distante da lei, esteso per tutta la riva fino alla spiaggia brulicante di umani che, passandoci sopra, facevano un gran baccano.
Ce n’erano di grandi e piccoli, maschi e femmine, chi si muoveva più piano e chi più forte ma nessuno di loro sembrava averle notate. “E questo cos’è, Attina? Un’altra invenzione dei puzzapiedi per rovinare il nostro mare?”
“Sacrifici, Ariel! Ti ho detto che loro ne fanno sempre. Hanno rinunciato a un po’ di spiaggia per consentire il passaggio anche a chi ha difficoltà a muoversi. Ma così facendo l’hanno tolta anche a noi… Questa tavola che vedi, si chiama pedana o passerella e io ho imparato a sfruttarla, quando vengo su.”
Incuriosita, Ariel alzò lo sguardo e osservò tutt’intorno a sè. Non aveva mai visto gli umani da vicino e si meravigliò nel notare i loro diversi comportamenti: alcuni si muovevano coi piedi nudi, altri preferivano vestirli con una specie di tavole che li nascondevano; i più singolari, avevano addirittura una cinghia a dividere il dito più grosso dalle altre e Ariel non riuscì a immaginare il male che potesse fare una calzatura del genere.
“Quelli che si coprono, evidentemente, vogliono nascondere l’odore perché se ne vergogneranno anche loro! E forse si mettono quella cosa lì sul dito per punirsi, una penitenza?” Pensò lei, continuando a guardarli ma senza il coraggio di avvicinarsi troppo.
Ma la colpì di più notare che tutte le femmine umane avessero il seno coperto e i maschi no. Ebbe per un momento la tentazione di togliersi la maglietta recuperata in nave, ma Attina la mise in guardia:
“Stai coperta, per carità! Troppi uomini qui in zona! Se li conoscessi, tesoro… Ti renderesti conto che i maschi umani non sono tutti così intelligenti come pensi! Aquata te lo spiegava: la malizia. Se resti a seno nudo, tempo zero ce li hai tutti addosso. E non sarebbe un bene.”
La sirenetta adolescente annuì poco convinta: “se invece mi facessero solo i complimenti?”
“E magari, Ariel! No, quelli hanno solo una cosa in mente ma non te la spiego perché non ti voglio spaventare!”
Distratte da un rumore sempre più assordante proveniente dal lato opposto della pedana, le sirene impaurite cercarono invano di nascondersi; era palesemente un umano che si avvicinava a loro; ma appena arrivò a pochi metri, Attina gli rivolse un enorme sorriso e tranquillizzò la sorella: “Ma … eccolo è lui! Solo che boh, sta con qualcun altro e non è una sirena, anche se ha i piedi bloccati. Non so…”
Senza dire una parola, Ariel restò sdraiata prona sul bordo della pedana in legno e osservò i due sconosciuti: lui, vestito solo con dei pantaloncini, stava spingendo una specie di macchina dove una ragazza rimaneva ferma, senza muovere i piedi; Ariel la guardò e le fu quasi istintivo avvicinarsi di qualche centimetro; aiutandosi con le braccia, strisciò sulla pedana finché riuscì a vedere meglio: sì, la sconosciuta aveva i piedi ma erano fermi! E provvedeva il maschio umano a spingere l’oggetto dove stava seduta. “Una nave di terra”, pensò la sirenetta; “se qualcuno la spinge non può essere una macchina!”
“Si chiama carrozzina”, le spiegò Attina; “e di solito la usano i piccoli umani. Non so perché ci sia questa ragazza sopra… Avrà la nostra età! Guarda lui, invece. Se solo mi degnasse di uno sguardo te lo presenterei!”
Ariel guardò il maschio umano che, pur essendo sempre più vicino, pareva non averla ancora notata; osservò con attenzione quel corpo ben scolpito, neanche il più affascinante dei tritoni era come lui! Gli rivolse un’occhiata sognante e accennò una canzone: “come vorrei… Vivere là… Fuori dal mar!”
“Gifter! L’hai sentito anche tu?” Improvvisamente la ragazza seduta, si rivolse all’umano e Ariel smise immediatamente di cantare: la sconosciuta l’aveva chiamato con quella parola usata anche da Attina! “Io non sento niente, non c’è niente siamo solo noi”, lui rispose scocciato e si fermò vicino all’acqua. “Siamo io, te, il mare e gli stronzi dall’altra parte della spiaggia! Perché, cos’hai sentito?”
Per un momento, l’uomo tolse le mani dalla carrozzina della sua amica e le voltò le spalle, guardando verso il basso; “possibile che non si è accorto di me”, pensò Ariel e alzò la testa: “guarda Attina, guarda! Ha lo stesso segno che hai tu sulla medaglia ma lui ha il disegno sulla pelle! Come si chiama, bio cosa…”
“Biohazard”, sussurrò Attina; “ma forse è meglio che ce ne andiamo, siamo arrivate nel momento sbagliato.” Impossibile, per Ariel, non notare le lacrime apparse sul volto della sorella ma non le fece domande, preferendo ascoltare la conversazione di quell’umano tanto desiderato che però aveva occhi solo per la sua simile.
“Clara, vedi che bell’atmosfera qui? Io ti ho portato per farti conoscere il posto che amo di più!”
“Cos’è, una dichiarazione?” Chiese la ragazza sulla carrozzina, con sguardo sognante. “Mi vuoi sposare, forse?”
“Sbagliato! Tu hai fatto una scelta drastica ultimamente: hai deciso di diventare non rilevabile, di non trasmettere il mio virus. Desidero soltanto aiutarti a riflettere se è la scelta giusta e quale posto migliore di questo, per pensare un po’ a se stessi?”
“Ma io sono sicura, gifter! A me basta avere il legame indissolubile che ho con te. Non voglio connettere a me nessun altro! Io, te, Freddie. Basta! Ti sono davvero grata per avermi trasmesso la tua positività e me la voglio tenere come regalo prezioso.”
“D’accordo, come vuoi. Lo sai che ti rispetto anche se non condivido! Ma stiamo qui, di solito ci sono le sirene. Anzi … mi sa che ce ne sono proprio due qua intorno. Dai, avviciniamoci di più così le conosciamo; ti va?”
“Tu sei tutto matto, gifter! Le sirene, cosa dici? Lo sai che non esistono!”
Lui le diede un bacio sui capelli e la abbracciò, sotto lo sguardo ormai rabbioso di Attina.
“Stronzo, stronzo e stronzo!” Urlò la sirena, delusa.
“Ecco hai sentito, Clara? Questa è una sirena incazzata”.
Spingendo la carrozzina di Clara, il giovane si avvicinò ad Attina, ormai rivolta verso l’acqua e in procinto di andarsene.
“No, Atty! Mia dolce sirenetta! Resta qui, ti prego! Che fai, non è come pensi, io non…”
“Stronzo e bastardo, gifter! Me ne vado e non mi vedrai più! E sì, ho imparato il linguaggio cattivo perché te lo meriti! Vieni, Ariel, andiamo!”
Ariel però non poteva lasciarsi sfuggire quell’opportunità: lei e la ragazza seduta erano alla pari, condividevano l’interesse per il bell’umano e poi il biohazard… Se Attina era arrabbiata con lui, pazienza!
Incurante dell’umano che le chiedeva di restare, Attina si tuffò nuovamente in acqua sparendo tra le onde; finalmente Ariel era rimasta sola! “Adesso provo”, pensò tenendo in mano lo smartphone recuperato sulla nave; “se loro prendono l’immagine mia, io faccio lo stesso con loro!”
Ma all’improvviso sentì un dolore lancinante alle dita: le ruote della carrozzina, muovendosi verso di lei, le pestarono una mano e l’accompagnatore riuscì a fermarla in tempo.
“Ehi, Clara, mi stai ammazzando una sirena!”
“Ma quella è solo una ragazzina che prende il sole!” Rispose lei. “…Oh, gifter, hai ragione!” Aggiunse poi, guardando meglio e notando le pinne. “Fermiamoci un attimo a parlarci!”
“Se io non avessi perso lo smartphone ti farei vedere le foto, sono riuscito a immortalarla con la sorella. Sai quella che mi ha insultato e se ne è andata?”
“E beh, avrei voluto vedere, gifter! Per lo smartphone pazienza l’importante è che sia vivo tu. Se non lasciavi là tutta la tua roba e non salivi nella scialuppa di salvataggio saresti morto da un pezzo, temo!”
Ariel prese coraggio e decise di intervenire, comprendendo perfettamente la conversazione tra i due. “Scusatemi!” Attirò la loro attenzione. “Io non so e non capisco bene cosa state dicendo ma ho trovato una cosa che non riesco a capire come funzioni! Un oggetto di voi coi piedi. Questo!”
Lei mostrò il telefono ai nuovi arrivati, e il giovane uomo lo prese in mano. “Oh! No, com’è possibile! Questo è il mio!” Incredulo, lo guardò con cura togliendogli la custodia, ormai danneggiata, che lo ricopriva completamente.
“Grazie … come ti chiami? Non hai idea di quale miracolo hai fatto!”
“Mi chiamo Ariel. Sai, mi spiace sia tuo, me lo sarei voluta tenere come ricordo del mio viaggio quassù!”
“Quindi tu sei una sirena davvero?” Chiese la ragazza seduta, curiosa. “Io mi chiamo Clara.”
“Sì! Proprio sì! Ma tu. Perché non ti muovi coi piedi? Perché hai questa macchina?”
“Un brutto incidente, mi sono rotta la schiena e da allora gambe e piedi non rispondono più! Capisci?”
Ariel restò per qualche secondo in silenzio, imbarazzata: quanto male avrebbe dovuto provare quella ragazza, come la dovevano far sentire gli altri umani, con quelle gambe immobili anche nuotare sarebbe stato impossibile… Ma tutte quelle curiosità si fermarono nel suo cuore. “E riesci a vivere sulla terraferma anche senza piedi allora”, riuscì soltanto a dirle. “A me hanno sempre detto che non è possibile!”
“Si può, si può!” Rispose Clara. “Ora Gifter se tu mi aiuti a scendere un momento, le facciamo vedere come si fa.”
Lui aiutò la sua amica a scendere dalla carrozzina e a sedersi sulla pedana, poi prendendo Ariel di peso, riuscì a farla sedere. “Ora ti spingo”, le disse; “questa di Clara è troppo grande per te ma se verrai qui spesso, te ne procurerò una che ti farà girare il mondo.”
Lascia un commento