U=U, cosa vuol dire questa sigla in ambito HIV e perché è importante? Alessandro si mette a nudo e spiega la propria esperienza di persona che vive col virus. Scienza, non paranoie.
DISCLAIMER: post ad alto contenuto di psicoblog e anche qualcosa di più esplicito.
Lettori avvisati, mezzi salvati.
Rischi e paranoie
Un lettore del blog mi ha chiesto: “c’è una situazione in cui hai corso un rischio e non te ne sei mai pentito?”
Rispondo volentieri e in modo esplicito: smettere di usare il preservativo con l’uomo che ho sposato.
Non nego di aver passato mesi con le paranoie prima della decisione: chi me lo faceva fare, potevo continuare come ero abituato? Impossibile!
All’epoca, 2017-18, nel web internazionale vedevo girare questa sigla strana: “U=U”, “undetectable = untransmittable”. Concetto complesso per chi ignora la questione HIV ma io avevo già capito il riferimento alla quantità di virus presente nel mio sangue. Non rilevabile, non trasmissibile. Impossibile sbagliare, direbbe la campagna mediatica costruita dalle associazioni HIV per sensibilizzare sul tema – peccato che un sito pieno di informazioni così chiare sia on line solo dal 2023.
Una scoperta fondamentale che avrebbe potuto fermare la diffusione di HIV in pochi anni eppure almeno in Italia non aveva troppa copertura mediatica, anzi ne parlavano solo pochi addetti ai lavori.
Poi ci si metteva pure il mio dottore: “sì, è così, è dimostrato da molti studi, io però fossi in voi non rischierei.”
Per me e il mio amato Negativo erano più i dubbi che gli entusiasmi in merito a quanto dicevano medici e associazioni internazionali sulla mancata trasmissione sessuale grazie all’efficacia degli antivirali e, quando sai di una nuova strategia di protezione ma hai paura dell’ignoto, puoi anche proseguire con la vita di sempre però la consapevolezza acquisita ti ha già strappato dalla zona di comfort facendoti sentire addosso, nel vero senso della parola, una scomodità che prima nemmeno percepivi.
Realizzando come questa faccenda rischiasse di mandarci in crisi, ci siamo concessi la classica “pausa di riflessione” che se per gli altri è il politicamente corretto di “lasciarsi”, per noi invece era riflessione vera su una situazione che non potevamo né volevamo più ignorare.
Fossi stato più stronzo mi sarei sfilato il preservativo di nascosto (stealthing) quello però è un abuso sessuale e avrebbe determinato la chiusura definitiva del nostro rapporto perché l’avrei tradito nel peggiore dei modi, con un atto di violenza.
HIV senza preservativo: la scienza prima di U=U
Il virus non era ancora con me quando tra il 2007 e 2008 si parlava di studi prima in Svizzera poi in Canada, in cui si confermava l’impossibilità di trasmissione al partner negativo di una coppia sierodiscordante. Lì il campione però si concentrava maggiormente sulle coppie etero in cerca di una gravidanza quindi, più di tanto, non ho approfondito. C’erano gli antivirali però rispetto al 2024, 2007-2008 è un’era geologica fa.
Addirittura nello stesso periodo era uscito un articolo di giornale, che ora non trovo più, in cui parlavano di un gene isolato in persone esposte ad alto rischio HIV e rimaste negative; “test disponibile entro due anni” dicevano i giapponesi. E io scemo a pensare “dai speriamo che presto venga fuori in tutto il mondo così lo posso fare anch’io e se sono coperto non devo preoccuparmi più dell’AIDS” – capivo a malapena la differenza tra HIV e AIDS.
Arrivato il 2009, poi il 10 e 11, quella storia è passata sotto silenzio; nel 2012 però negli Stati Uniti ha iniziato a uscire la profilassi pre-esposizione PrEP e io, ancora negativo, mi sono tranquillizzato: OK qualche mese di pazienza e arriverà in Italia!
I mesi però sono diventati anni perché questa terapia per negativi che vogliono evitare di infettarsi è arrivata in Europa nel 2016 ma io ero già HIV positivo dal 2013 dopo una relazione abusante.
Mi sono trovato nella peggiore delle situazioni anche se, fosse stato per me, sarei entrato in Prep non appena fosse uscita sul mercato anche a costo di essere il primo a sperimentarla. Quanto cazzo paura mi hanno fatto dell’AIDS in adolescenza, andassero all’inferno tutti loro e la loro sierofobia.
U=U: la fine delle paranoie
Fra il 2007 e 2016 tre studi hanno coinvolto diverse coppie sierodiscordanti gay ed etero in cui il partner HIV positivo era in terapia coi farmaci antivirali e in nessun caso si è verificata la trasmissione da contatto sessuale senza protezioni a barriera. Da allora gradualmente si è iniziato a parlarne sui forum del settore, prima a mezza bocca poi sempre più forte.
U=U, carica virale non rilevabile, mi pareva di sentire parlare una lingua sconosciuta perché ancora nel 2017-18 in Italia non era diffusa questa evidenza. La comunità scientifica italiana lo ha ufficializzato solo il 12 novembre 2019.
Io però mi ero stancato di stare dietro ai profilattici perché da anni i risultati delle analisi parlavano chiarissimo: prima “meno di cinquanta copie”, poi “non rilevabile”, il mio virus nel sangue era sempre in pieno relax e probabilmente, ai tecnici di laboratorio, diceva pure: “fatemi il favore di dire al mio umano che non ho intenzione di toccare suo marito! Ancora non lo capisce!”
Da positivo non ero capace di sentire cosa stesse dicendo il mio HIV, figuriamoci i negativi dell’ospedale! Quindi sono andato avanti ancora per un bel po’ a tenermi l’opzione “preservativi” nella nota della spesa anche se, pur non facendolo pesare, ero sempre più insofferente: vivere assieme pianificando di sposarci, avere l’evidenza scientifica U=U in casa ma comportarci come fossimo in una coppia sierodiscordante agli inizi in cui il virus ancora fa paura.
La libertà
Se levarsi i preservativi di nascosto è un abuso, non lo è dimenticarsi “casualmente” di comprarli e poi sul più bello mettere la mano sotto il cuscino e dire: “oops, sì, maledizione credevo ce ne fosse ancora uno, in effetti mi sembrava di aver acquistato una cosa in meno! Ora che si fa?”
Stavo tranquillo perché prima mi ero consultato col dottore: “vorremmo sposarci e vivere un’intimità più serena ma per sicurezza mi piacerebbe che mio marito entrasse in PrEP; che ne pensi, doc?”
Per farla breve, il medico ha risposto che avendo io la carica virale non rilevabile ed essendo la nostra relazione monogama, è inutile la profilassi pre-esposizione; così io ho lanciato al mio compagno una provocazione un po’ ironica un po’ no: “perfetto allora se mi fai le corna e allarghi la famiglia con un virus in più, non dare la colpa a me”.
Che si fa, rinunciamo oppure U=U? “La seconda opzione”, mi ha risposto. E io ho fatto lo stronzo come al solito: no, non ho capito, la seconda cioè? Voglio sapere cosa hai deciso. Niente scorciatoie o parole non dette. Consenso o dissenso esplicito.
Solo quando mi ha guardato negli occhi e mi ha detto “U=U” la serata è andata avanti. I giorni a seguire non sono stati facili perché – lo ammetto – un po’ mi ha condizionato con le paranoie “e se ti si fosse alzato il virus nel sangue e tu non lo sai”, “e se la medicina ha deciso di non funzionare, della scienza non so se e quanto fidarmi, c’è sempre la sfortuna”.
Come potevo dirgli “se non ti fidi del medico fidati di me” se era una situazione di cui avevo scarso controllo anch’io? A sentir lui avrebbero dovuto inventare un apparecchio agganciabile a un dito (quale dei 21?) che monitorasse la carica virale minuto per minuto.
OK, adesso ci ridiamo su entrambi però allora mi sarebbe venuto da strozzarlo e rimanere vedovo in anticipo perché iniziava a far tornare le paure anche a me, così mi sono armato di pazienza lasciandolo aspettare i tempi tecnici e farsi il test HIV pur consapevole razionalmente io per primo di quale sarebbe stato l’esito.
Finalmente col suo risultato negativo in mano l’ho portato a festeggiare in un bel posto dove ci siamo mangiati antipasto, primo, secondo e dolce tutti e due. Cioè tre col virus.
Eravamo liberi e lo saremmo stati per sempre, col preservativo da usare solo se l’avessimo volontariamente scelto. Io più di tutti mi sentivo libero come non mi ero mai sentito prima.
A fine serata, in una coincidenza che non dimenticheremo mai, la radio dell’auto ha trasmesso un brano che tutt’oggi porto nel cuore: “viva la libertà” di Jovanotti. Canzone su cui gli ho fatto la proposta definitiva di sposarmi e siamo finiti come due cretini in macchina a cantare il ritornello.
Sono ormai passati anni dalla scatola mai acquistata e ci siamo sposati; lui è ancora negativo, ancora mi sopporta, non mi sono mai pentito di aver guardato quel giorno l’insegna della farmacia ed essere passato avanti.
Poi certo, durante l’emergenza covid ci siamo impauriti più di prima e abbiamo fatto scorte di profilattici ma la consapevolezza acquisita ci ha permesso anche di ironizzare sulla prevenzione dei due virus insieme: dove va la mascherina? Dove va il preservativo? Che faccia hai, che faccia ho.
Dall’incontro col mio HIV ho giurato a me stesso che avrei sempre usato il preservativo anche in una storia a lungo termine. E invece adesso? Sì, dai, ma nel 2013 la situazione era diversa e U=U non era stato ancora scoperto.
Va bene, avrei voluto finire il post con la canzone ma non me la sento perché il rischio è ancora alto: vero che noi positivi U=U siamo le persone più sicure, infatti siamo periodicamente controllati per tutte le infezioni sessualmente trasmissibili. Questo vale anche per i negativi sotto profilassi pre-esposizione PrEP in quanto la terapia in oggetto prevede esami regolari, dalla Chlamydia alla sifilide e le altre.
La realtà però è complessa, e il virus in circolazione non è qualcosa da prendere alla leggera. Specie qui in Italia c’è una scarsa informazione su U=U e PrEP, anni di stigma sdoganato dai media stanno ancora causando problemi tanto che i controlli per le infezioni a trasmissione sessuale sono ancora a completo carico dei pazienti perché la sessualità è ancora vista come un capriccio e non come un diritto. Etero, gay o altro che si sia.
Allora il preservativo rimane sempre un ausilio necessario per tutelarsi (e tutelare gli altri) in caso si ignori il proprio stato di salute. Ho scelto di condividere la mia esperienza solo per far capire che, oggi, la prevenzione dell’HIV non passa più solo dalle barriere fisiche. Né tanto meno dallo stigma.
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