Siamo nati sui social network, più precisamente Facebook, e dei dettagli abbiamo parlato in diverse occasioni. Ma nel blog siamo intenzionati a investire la maggioranza del nostro tempo e risorse perché, su questo tipo di piattaforma, possiamo controllare meglio il nostro lavoro.
Social network: non è casa nostra
Quando entri in uno spazio come Facebook, le condizioni lo dicono chiaro: pubblichi materiale e ne perdi il controllo.
Certo, il profilo è tuo e puoi eliminare eventuali contenuti giudicati, a posteriori, inopportuni; ma intanto possono starci migliaia di persone a esserseli scaricati nei propri dispositivi e poterne fare ciò che vogliono, tuo consenso o meno.
Il social network ha delle regole fisse, condivisibili o meno, che vengono applicate grazie a un sistema automatico basato sulle parole. Quindi, non è la prima volta che un contenuto viene oscurato perché le macchine percepiscono come dannoso, materiale in realtà legittimo – il caso “finocchiona”, salame toscano, è emblematico. Nome scambiato per un’offesa.
Senza poi contare quando vengono organizzati “squadrismi” tentando di affossare una realtà poco gradita: il sistema guarda i numeri, non i contenuti; per cui se ce l’hai a morte con una pagina o un profilo, puoi fargli migliaia di segnalazioni per nudo, e il social lo rimuoverà anche se nudo non è. Puoi fare un ricorso, d’accordo; ma intanto ci vogliono giorni e (specie se sei un’azienda) nessuno ti paga i danni che lo squadrismo di certi buontemponi ti ha causato.
E l’altra faccia dello squadrismo? Lo chiamiamo così perché, spesso, il fenomeno parte in questo modo: un singolo o gruppo chiama “in raccolta” i suoi amici perché vadano a commentare negativamente, il personaggio che diffonde contenuti discutibili verso temi sociali delicati. Agli algoritmi però, non importa che tu stia disprezzando quel contenuto; troppi i commenti, le reazioni, le condivisioni, il “provocatore” chiunque sia, si divertirà a spararla sempre più grossa, contando sull’effetto indignazione che gli dà pubblicità gratuita.
Noi di conseguenza ci troviamo a essere ospiti accettando le regole di chi gestisce la piattaforma, questo di per sé può pure starci. Ma non è una condizione sostenibile, a lungo andare, gestire un lavoro sempre dovendo restare sul “chi va là”, attenti a cosa dire e come dirlo, perché ci potremmo trovare la pagina chiusa da un momento all’altro. Ma ti pare?
Ad alcuni nostri amici, di pagine satiriche come noi dedicate a Bugliano, è successo di ricevere segnalazioni in massa per un post sul “lancio del gatto”. Una cosa palesemente finta ma che ha fatto perdere il senno a certi sedicenti “animalisti” – sempre ammesso che fossero dotati di ragione anche prima… Odio, rabbia, indignazione e una inutile censura di satira innocua al grido di: “poi c’è chi lo fa veramente!”
Tranquilli, respirate forte, chi fa davvero del male agli animali non ha bisogno del “lancio del gatto” satirico. Le persone cattive lo sono a prescindere e hanno i loro gruppi, non vengono da noi perché sanno che li mandiamo via a calci nel culo.
Contenuti persi per strada
Se non bastasse lo spettro delle segnalazioni, contare sulla visibilità da social network è difficile perché, oltre al fattore interazioni, l’algoritmo dà priorità ai contenuti a pagamento. Le realtà cioè che danno al social una determinata cifra (periodica o una tantum) per garantirsi lo spazio: “spendi 10 euro per avere mille visite in 10 giorni”… Follia.
In questo modo si crea il paradosso: gli odiatori guadagnano visibilità sfruttando l’indignazione invece chi vuole fare gratuitamente divulgazione scientifica, informatica, culturale… Se spende i soldi in libri per studiare anziché ingrassare i social network, viene messo all’angolo.
Lo spiacevole risultato è quello che, alla fine, i social decidono cosa tu devi vedere e cosa no, facendoti perdere materiale interessante. Allora ci chiediamo: per cosa lavoriamo noi, se dopo i nostri post vengono persi per strada? Se nessuno li legge?
Su un blog, si sta meglio
Problema: molti dati sono impietosi e segnalano che gli utenti dei social sono meno propensi alla lettura e ascolto di contenuti lunghi, preferendo la visione di foto e video brevi. Su youtube viene già a noia se un video dura 10 minuti, un post con più di quattro righe viene definito “pippone”.
Allora non abbiamo avuto dubbi, manteniamo comunque i social, infatti siamo ilmondopositivo sia su Facebook, sia su Tumblr e Mastodon. Però la grande maggioranza del nostro lavoro sta qui su WordPress.
Meglio un blog gratuito su wordpress.com, o uno su un fornitore di servizi dove ce lo possiamo installare in autonomia? La seconda che hai detto, così ce lo possiamo personalizzare coi plugin (le funzioni aggiuntive) che vogliamo!
Sicuramente anche questo, però, ha i suoi contro: costi e lavoro in più e soprattutto la fatica di avere una nicchia di lettori. Però almeno i contenuti si conservano in ordine cronologico, abbiamo il motore di ricerca, molte possibilità di personalizzazione nei contenuti secondo il nostro modo e non quello delle piattaforme.
Sì, abbiamo accettato le funzioni social network “ibrido” associandolo a JetPack; abbiamo la possibilità di mettere e ricevere commenti e “mi piace”, ma almeno possiamo tenere a bada odiatori e squadristi con delle accurate operazioni di moderazione, compreso il blocco di eventuali indirizzi molesti. Siamo sicuri che i fruitori di blog sono come minimo persone amanti della lettura, e poi?
E poi anche qui soprattutto lato JetPack c’è l’eventualità di essere segnalati come contenuti per adulti, ma a differenza di un social network sai che c’è? Qualora accada, spostiamo gli articoli “incriminati” in un altro blog WordPress che potremmo installare qui, sullo stesso dominio plusbrothers.net, in una cartella tipo plusbrothers.net/nsfw (nsfw vuol dire “not safe for work”, non sicuro per il lavoro) ed è la sigla standard che indica generalmente i contenuti per adulti. Cosa che noi comunque non faremo a meno che non ci costringano, anche se siamo consapevoli di aver visto su JetPack contenuti più sessuali di noi.
La piattaforma del blog, fra l’altro, ci espone a siti pieni di false notizie, da quando anche in lettura frequentiamo altri spazi su WordPress vediamo di tutto: da chi racconta come si è levata il reggiseno la prima volta che si è innamorata, ai pinguini al polo nord che muoiono di freddo. Ma in fondo va bene così, quello che non ci piace lo ignoriamo in puro stile “vivi e lascia vivere” perché nella blogosfera c’è spazio per noi, per loro, e guai se non fosse.
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