Poteva arrivare il 2024 senza la posta del culo? Ovviamente no, però in questo caso il culo si rivolge a ogni creatore digitale e non specificamente a noi: trattasi degli ad blocker ossia quei programmi utilizzati per inibire la visione delle pubblicità in rete.
Cosa sono gli ad blocker?
“Ad Blocker”, ovvero “advertisement blocker”: sono dei programmi che interferiscono in modo più o meno complesso con le pagine Internet o i contenuti audiovisivi per inibire il più possibile la comparsa di annunci pubblicitari.
Negli ultimi anni però sia nel piccolo sia nelle grandi aziende li si sta combattendo perché gli ad blocker ostacolano il business della pubblicità – ci dispiace ma non crediamo che il blocco dei blocker, gioco di parole voluto, abbia a cuore i creatori digitali; è solo che le agenzie pubblicitarie (tipo google adsense) quando gli annunci vengono inibiti, ci guadagnano meno.
Il fastidio delle pubblicità
Noi in linea di massima siamo favorevoli ai programmi che bloccano gli spot perché, negli ultimi anni, il web sta diventando un inferno di pubblicità peggio delle tv generaliste, e in certe condizioni è davvero impossibile vedere un filmato o ascoltare una trasmissione radio senza disturbi, e perfino leggersi un articolo.
Lasciamo stare poi che se hai una disabilità visiva (come tra noi due è Elettrona), spesso e volentieri un ad blocker è l’unico sistema per evitare problemi di accessibilità difficili da gestire – tipo banner in movimento che a distanza di pochi secondi fanno cambiare gli annunci; in tale condizione se utilizzi ausili per la lettura vocale dello schermo come quelli per ciechi e ipovedenti, non riesci più a sapere in quale posizione si trova il cursore di lettura. Il meccanismo che fa ruotare gli annunci muove il puntatore all’inizio dell’articolo e nel migliore dei casi tocca leggerselo tutto daccapo sperando di essere abbastanza veloci nella lettura e finirla prima che arrivi la prossima pubblicità.
Ovviamente non c’è possibilità di fermare la rotazione per agevolare chi legge col sintetizzatore vocale, un ausilio di ingrandimento testo o addirittura il Braille; le agenzie pubblicitarie non pensano all’accessibilità perché anzi, gli annunci più disturbano e meglio è.
E magari fossero solo i blog amatoriali a fare così, anche grandi testate giornalistiche usano questo sistema arrivando anche alla tecnica del “clickbait”, cioè attirare l’attenzione con titoli e introduzioni fuorvianti per indurre ad aprire il link al fine di guadagnare attraverso la pubblicità invasiva. Con buona pace di tutte le persone con disabilità visiva le quali sono costrette dalla circostanza ad accedere principalmente alle informazioni on line.
“C’è dell’articolo in mezzo agli spot”, direbbe la pagina Baitman il giustiziere gruppo di persone stanche delle trappole acchiappa click sul web. Ed è una fortuna per noi avere solo l’inconveniente dei banner molesti che al massimo fanno perdere tempo, perché anni fa addirittura è capitato di trovarsi un servizio di SMS a pagamento dopo aver cliccato su “esci” quando invece per uscire dalla pubblicità bisognava andare su “Entra”.
Abbiamo l’impressione che non mostrino alcuno scrupolo verso le persone più in difficoltà anche se è ovvio, non se la prendono apposta con ciechi e ipovedenti però ogni volta, a pagare per l’avidità altrui, siamo sempre i soliti quindi non avendo altri aiuti, bloccare i banner è una scappatoia che a volte ha funzionato.
Qualcuno ora si chiederà: fatemi capire, un ad blocker risolve il problema dell’accessibilità digitale ed evita avventure spiacevoli?
Assolutamente no! Non risolve tutti i problemi e ne crea degli altri: una testata giornalistica guadagna parecchio anche se perde qualcuno ma spesso, per chi produce contenuti a livello amatoriale, le pubblicità on line sono le uniche fonti per coprire le spese vive della loro permanenza sul web e se già non ci si porta a casa un granché, il blocco degli annunci pubblicitari peggiora la situazione.
Noi con alcuni blogger abbiamo anche provato a metterci d’accordo per bloccare le pubblicità e sostenerli in altro modo, non tutti però hanno un sistema a cui far riferimento per dare loro soldi eliminando la pubblicità.
Si pone quindi una domanda etica nei confronti di chi sta scrivendo un testo o ha registrato un contenuto audio-video. Chi ha più diritto di vivere in pace, la persona con disabilità con la navigazione internet bloccata o il creatore di contenuti che guadagna meno a causa dell’ad blocker?
Non sempre abbiamo il compromesso per soddisfare entrambe le situazioni, quindi se un blog ha troppe pubblicità tendiamo a smettere di seguirlo.
Pubblicità e calo di motivazione
I creatori digitali sono i primi a essere consapevoli che la pubblicità è spazzatura, e questo provoca indubbiamente un grosso calo di motivazione. I contenuti di qualità vengono visti poco, quelli di massa sono spazzatura, vale ancora la pena lavorare sodo in rete?
Citiamo volentieri un post scritto dal giornalista e ricercatore Sergio Pistoi che a inizio gennaio 2024 su Facebook diceva:
…negli ultimi due anni la lunghezza delle pubblicità su YouTube è raddoppiata, così come “”si affoga” nei post suggeriti (pubblicità) su Facebook e Twitter/X su piattaforma mobile…
[…] Generazioni di utenti hanno schifato giustamente le reti tv generaliste piene di spot e programmi acchiappatutto per buttarsi nell’utopia della rete dove nulla si paga di tasca propria e i creatori digitali sono lì apposta per farsi vedere e amare gratis. Finendo in un mondo uguale a quello delle tv commerciali ma più invasivo a livello di riservatezza.
[…]
Molti forse non se ne rendono conto ma il modello dei social sta collassando, e un motivo importante è la carenza di contenuti di qualità. Perché scarseggiano? Perché chi li crea ha sempre meno voglia e tempo di farlo senza un business model sostenibile. E perché non è sostenibile? Perché siccome nessuno li vuole più pagare, se vuoi produrre informazione devi fare il gioco di sponda: ads, sponsor, raccolte fondi, promozione di beni o servizi da vendere. Vale la pena? Sempre meno.
[…] Tu dici: vabè, accetto che il mio tempo non valga nulla e mi va bene sorbirmi spot a valanga come prezzo da pagare, sempre meglio che tirare fuori il grano vero. E’ quello che abbiamo fatto per decenni con la TV commerciale. Che infatti non funziona più e comunque produce spazzatura, perché a sua volta il modello pubblicitario dipende dalla qualità della audience e soprattutto dal suo potere di acquisto. Se ti rivolgi ad una audience di basso livello devi andare su numeri di massa, e quindi produrre contenuti di massa.
Contenuti gradevoli alla massa al fine di aumentare le visite, è proprio questa la ragione per cui a volte ci sentiamo demotivati anche noi: a suo tempo abbiamo parlato dei diversity media awards dove non ti si considera un creatore digitale se hai meno di 50 mila o 100 mila seguaci, poi ti guardi attorno e scopri che a fare i grandi numeri sono i soliti post intrisi di ovvietà e buoni sentimenti falsi, cagnolini gattini e nel caso di post satirici sempre allusioni al sesso prevalentemente volgari nonché battute sempre uguali su calcio o politica.
Parliamo poi delle cause sociali, in quel settore alzano gli ascolti le storie drammatiche dove più sono le lacrime più aumenta lo share – come ha descritto Gaber nel brano La famiglia disgraziata. E se si alzano le visualizzazioni con le lacrime, si impennano quando c’è rabbia e odio soprattutto verso una minoranza: chi è a favore dell’odiatore, stile “finalmente dicono le cose come stanno”, e chi dall’altra parte vorrebbe la censura preventiva. Come si fa a lavorare così?
E come si fa a lavorare bene quando la media delle persone in rete dice “ti ho messo il mi piace, vuoi anche che ti pago?”
La posta del culo: uso gli ad blocker e me ne vanto!
Se i banner pubblicitari possono venir bloccati a fin di bene in caso di persona con disabilità che non ha altra soluzione, c’è chi dell’ad blocker ha fatto una ragione di vita: “Internet è gratis, e sempre lo sia a ogni costo! Amen!”
Usufruire dei contenuti senza disturbo è nostro diritto? Sì. Pretendere che la pubblicità sia meno invasiva possibile? Anche. Consultare informazioni senza dover mettere ogni volta mano al portafoglio? Sarebbe bello ma è utopico: a meno che non si sia dei personaggi pubblici con cospicue sponsorizzazioni alle spalle, tutte le spese fra attrezzatura fisica e materiale digitale sono a carico dei creatori e se nessuno vuole pagare è inutile pretendere qualità.
Però questi arroganti del “gratis a tutti i costi” vogliono salvare capre e cavoli anche dove non si può: chiedono miglioramenti continui esponendo critiche più o meno distruttive ai canali che seguono, poi però mai una volta si chiedono come possano rendersi utili affinché una effettiva crescita abbia luogo – aiuto economico o, perché no, spunti costruttivi per consentire al creator digitale di sviluppare la propria conoscenza sull’argomento di interesse.
Per carità, anche noi ci lamentiamo se vediamo un canale audio/video pieno di pubblicità e gestito da uno che genera contenuti vocali e testuali solo usando l’intelligenza artificiale; quest’ultima sarebbe un ottimo ausilio, ammesso e concesso che la si usi con la testa ma se le si fa fare tutto per non far fatica e risparmiare, escono i rospi e noi li riconosciamo da lontano evitando di seguirli.
Risparmio sì, ma la domanda sorge spontanea: un po’ di autostima? La si trova ancora o vale solo stare sul pezzo e dire: “anch’io sto sui social”?
Scrocconi e vampiri
Sapendo degli ad blocker, noi abbiamo deciso di non perderci dietro alle agenzie pubblicitarie né tanto meno a cercare un modo efficace per bloccare questi programmi anti-banner, perché crediamo nella libertà di ciascuno nell’uso indipendentemente dalla motivazione; la cosa irritante in questo caso però è se uno se ne vanta atteggiandosi da pecora più furba del gregge che ha trovato il modo più intelligente di fregare il sistema. Un po’ come quando ogni tanto nei media esce quello che evade le tasse e non se ne vergogna. Facessero tutti così…
A farci arrabbiare, invece, sono quelli che rubano o bloccano i link di affiliazione!
C’è modo e modo per aggiungere pubblicità a un sito: quella delle agenzie costruita su banner da loro distribuiti, e il marketing di affiliazione che consiste nell’iscriversi a un programma apposito presente su un servizio di commercio elettronico poi, nel caso in cui il nostro blog verrà approvato come affiliato, si può iniziare a pubblicizzare i prodotti.
Il più famoso è sicuramente quello di Amazon, il quale fornisce commissioni se un lettore acquista un prodotto attraverso un link che noi creiamo apposta dalla pagina del programma affiliazione.
Ci sono blog che pur di guadagnare in questo modo fanno la pubblicità di prodotti non attinenti all’argomento di base, diciamo che se sei un autore specializzato sulla cucina sarebbe parecchio fantascientifico se ti mettessi a pubblicizzare il trapano, sì o no? Eppure c’è chi lo fa.
Noi usiamo questo programma perché è quello meno invasivo e ci permette di avere una vetrina dove mettiamo solo i prodotti che ci interessano, specialmente libri; non avendo gli algoritmi a decidere cosa è giusto o sbagliato possiamo stabilire noi quando, se e dove inserire i link.
Eppure niente ferma i vampiri: Amazon non permette di mascherare i link di affiliazione per proteggerli da qual si voglia attacco, di conseguenza uno è libero di prendere il collegamento dal nostro sito sostituendo il nostro identificativo col proprio.
O esistevano, almeno qualche anno fa, persino delle estensioni -moduli aggiuntivi- per Chrome o Firefox il cui scopo era esattamente quello di neutralizzare i link di affiliazione così da non generare più alcuna commissione verso il blog che si stava leggendo.
Parliamoci chiaro: si può sapere che cosa vogliono?
- “abbonamento mensile/annuale no, già spendiamo un sacco in servizi digitali e poi tu in più cosa ci offri?” Obiezione condivisibile, non si discute su questo.
- “Pubblicità no, perché è invasiva” – anche su questo non si può prescindere più di tanto.
- “Link affiliazione no, perché Amazon o chi per lui ci spia mentre voi guadagnate”… Ecco, su questo punto è il caso di fare due parole.
Se anche un lettore compra su Amazon una scatola di preservativi dopo aver aperto un nostro link che portava a un libro? Noi non sapremo mai di chi si tratta (neanche ci importerebbe, se è per quello). Ma lui spende gli stessi soldi che gli costerebbe comprarlo senza affiliazione, a noi arriva una piccola commissione che a nessuno grava sulle spalle.
Quindi non abbiamo alcuna comprensione né giustificazione per chi dovesse bloccare i link affiliazione. Gli ad blocker sono una cosa, ma inibire le affiliazioni sarebbe come dire al blog che si sta leggendo: “sai caro io ti voglio troppo bene ma non ho alcuna intenzione di sostenerti, non lo meriti”.
Questi, noi, li chiamiamo vampiri perché succhiano il sangue e poi se ne vanno – neanche il virus HIV di Bugliano li ferma e noi teniamo a considerarli per quello che sono. Parolaccia a caso, una vale l’altra.
Nulla ci è dovuto e questo è un dato di fatto però cazzo, se facciamo di tutto per non essere invasivi con le pubblicità del blog e tu ci freghi i link, insomma, solo la posta del culo può accoglierti.
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