Lei è Rachel, la figlia dell’uomo ritenuto il killer dissanguatore. Mark Wilson. Non è semplice fare i conti con una simile fama ed è costretta a nascondersi, cambiando anche nome: Rachel, Laura, Manuela…
Amata da Freddie come una figlia, si trova a pagare le colpe del proprio padre biologico perché da quando Mark è morto la gente ha paura di lei, o c’è dell’altro?
Rachel: un nuovo abbandono?
Mi sentivo sicura tra le sue braccia, lui era da sempre l’unico uomo ad avermi mostrato il vero amore anche se per pochi minuti. “Non voglio tornare alla vita di prima”, ho cercato di pregarlo; “io non ci vado! Non da Salvo, e non da quella strega di Carol! Ti supplico, fammi restare qui con te, Gifter…”
Nulla da fare: si è staccato da me e tenendomi a debita distanza mi ha accompagnato fuori dalla Pro Loco. “Da oggi fino a quando te lo dirò io, tu sarai Laura! E non mi importa se protesti, o accetti di lavorare per me o puoi dire addio ai miei soldi e patire la fame spaccandoti la schiena per Rocco! Intesi, piccola Rachel?”
Ancora una volta mi ha fatto vedere la busta chiusa piena di banconote e io mi sono trovata in difficoltà. Ero stanca di nascondere la mia vera identità, ma contemporaneamente la richiesta veniva dal mio stesso Gifter! Cosa potevo fare?
Con la schiena appoggiata alla porta e Freddie che neanche mi guardava, ho rivissuto l’ultimo anno: la relazione clandestina con l’insegnante Ryan John, andato avanti a prendermi e lasciarmi a proprio piacimento nella sua palafitta in mezzo al lago; la festa al Bugliano Salad e l’incontro col mio Gifter che credevo di aver perso per sempre, lo stesso Freddie che si è finto morto per anni e ora vuole nascondere la piccola Grace coinvolgendo anche me nei suoi piani.
“Freddie non erano così gli accordi”, ho protestato ancora; “proteggere la bambina di Adri è un conto ma non puoi costringermi a dare il virus a quello stronzo di Salvo! E neanche a rivedere la vecchia Carol. Quello no, resto vergine a vita piuttosto…”
Ignorandomi platealmente si è schiarito la gola ed è uscito dalla porta, volevo seguirlo ma il fondatore della Pro Loco mi ha fermata sulla soglia: “Da oggi non lavori più qui, Manuela o comunque ti chiami. Già sono d’accordo col tuo nuovo capo.” Niente, anche Rocco non vedeva l’ora di liquidarmi.
Sono uscita dalla Pro Loco più velocemente possibile sperando di raggiungere Freddie, ma ho avuto solo il tempo di vederlo salire su un taxi già in attesa da chissà quanto; ero rimasta sola, per l’ennesima volta. Senza più lavoro né gifter né protezione, cosa mi restava da fare? Solo una bella corsa poteva allentare la tensione e la pista di atletica distava solo poche decine di metri.
Uno, due, tre giri, poche persone mi vedevano e passavano oltre, indifferenti. Fino a quando una ragazza mi è venuta incontro: “ehi, tu! Hai bisogno di compagnia?”
L’ho guardata, comprendendo subito che forse il destino mi era venuto a cercare: sulla sua t-shirt, in caratteri enormi, era scritto “fidati sempre del tuo gifter”.
Alexandra: alleanza tra donne
“Che bella”, la ragazza osservava intensamente la mia maglietta; “fidarmi di chi mi ha dato il virus… avrei tanto bisogno di ricordarlo ogni giorno…” Io le ho sorriso e, con le dita, ho accarezzato il simbolo biohazard stampato sotto la scritta mentre ci affiancavamo nella corsa. Non era una sconosciuta, ci eravamo incrociate di sfuggita in Pro Loco ogni tanto ma non avevo mai capito quale fosse il suo nome. “Io sono Alexandra, Alex per gli amici”, mi sono presentata e lei mi ha detto di chiamarsi Laura. Eppure io ricordavo Manuela!
Lei correva più veloce di me e si guardava intorno, come se qualcuno la seguisse; “dico davvero, Alex, la tua maglia è stupenda! Chi te l’ha data?”
“Me la sono comprata”, ho mentito e mi sono concentrata sul braccialetto conta-passi che ancora segnava troppo poco ma lei sembrava non voler demordere. “Sai Alex, dovremmo iniziare a farci rispettare di più dai nostri gifter. Credono di avere la nostra fiducia così, d’ufficio. Scommetto che il tuo ti ha obbligato a fare qualcosa che non volevi…”
Facendo finta di non sentirla ho aumentato il passo, ma lei correva più forte. La corsa della rabbia, era evidente! “Magari è pure lo stesso, magari siamo sorelle di virus e non lo sappiamo! Alex, dimmi chi è…”
Inutile inventarmi che ero negativa; col biohazard sulla maglietta era impossibile continuare a dire il falso, così le ho bloccato la strada e ci siamo fermate in mezzo alla pista: “non c’è più”, le ho raccontato; “se l’è portato via l’AIDS, ed è colpa mia. Se solo avessi fatto silenzio! Quando hai troppe informazioni pericolose anche il tuo virus ha paura e a volte reagisce in modo estremo, capisci?”
“Oh Dio”, ha risposto lei avvolgendomi in un inaspettato abbraccio; eravamo tutte sudate e la scena ha disgustato alcuni passanti. “Tu allora sei”… Le sue braccia si stringevano al mio corpo senza più volermi lasciare, un contatto che parlava molto più della sua voce. “Sei Maria Alejandra… Sì, la bug chaser del papero offeso! Come no, povero Luca, che orribile fine ha fatto. Io invece, il mio Gifter è…”
L’ha colta una lunga crisi di starnuti, così ne ho approfittato per osservare meglio il suo volto pieno di segni: forse era stata vittima di un incidente… Ma la cicatrice sull’orecchio sinistro mi aveva riportato a una vecchia leggenda metropolitana proveniente da Londra. “Non può essere”, ho pensato; “la bambina del vetro. No!” “Maledizione Alexandra, sai tutti mi guardano e nessuno mi vuole davvero. Avrei potuto fare una plastica, invece ho voluto restare così. Mi ricorda chi sono, e i miei due uomini: chi mi ha dato la vita e chi me l’ha tolta”.
Oh no, quale ingenua sono stata; pensare alla storia della bimba soccorsa da Freddie Mercury a Garden Lodge, invece avevo davanti l’ennesimo caso di violenza di genere. “Uomini inutili e vigliacchi”, l’ho confortata; “non servono a niente. Alleiamoci tra noi che forse riusciamo a ridimensionare il loro ego smisurato.”
“Allora aiutami Alex, il mio gifter mi vuole spingere nel letto del più geloso e tossico tra gli uomini. Un negativo di merda che…” Si era interrotta col discorso e, bruscamente, aveva fatto dietrofront; entrambe ci siamo trovate fuori dalla pista, ma sudate com’eravamo c’era un’unica possibilità: andare in spogliatoio e farci una mega doccia.
Un unico box a disposizione era l’occasione giusta per confidarci senza timore di orecchie indiscrete; con la porta chiusa a chiave e i nostri corpi lambiti dall’acqua tiepida, lei è riuscita a raccontarmi cosa la tormentava e io finalmente mi sono sentita di nuovo a casa. Aveva ragione il mio caro povero Gifter, tra positivi al ceppo HIV di Bugliano ci riconosciamo e leghiamo all’istante.
Laura: una nuova amicizia
“Il mio gifter è Freddie”, mi sono confidata con Alex; “sì, sono proprio io, la bambina del vetro. A due anni sono stata gravemente ferita dopo che un lampadario è caduto sopra di me e se non fosse stato per Freddie non lo so…”
Come spiegarle che quella trappola mortale era stata architettata da mio padre, l’uomo che amavo di più al mondo voleva dissanguare il proprio datore di lavoro. Ancora oggi fatico a capire come avessi potuto accettare che papà fosse un simile criminale e che se non ci fossi stata io nel soggiorno di Garden Lodge quando il lampadario si è sfracellato, Freddie sarebbe morto di sicuro.
Ho appoggiato la mano sul vetro della doccia, incurante delle ditate che potessi lasciarci. Inutile prendersi in giro, per quanto all’epoca fossi piccola e i ricordi siano scarsi, tutt’ora non mi sento così sicura vicino a una porta a vetri o sotto un lampadario perché ho sempre paura che cada e si sfracelli su di me.
“Rachel Wilson”, era difficile per me pronunciare il mio vero cognome; “dopo quel fatto dei vetri mi hanno portato via i servizi sociali e sono passata da una famiglia all’altra. Finché sono capitata a Bugliano siculo dove mi hanno chiamata Laura Vitale.”
“E quella relazione, l’altro uomo geloso, chi è? Devo dire che non sei stata fortunata.”
Assolutamente no, le mie vicende familiari mi hanno accompagnato per tutta l’esistenza e mi sono legata sempre a persone che mi facessero sentire parte del loro mondo. Tutto sommato non mi ero trovata male in Sicilia, a scuola era pieno di opportunità per stringere nuove amicizie ma c’era sempre uno scoglio da affrontare: la mia famiglia affidataria non voleva io parlassi del mio virus; povero HIV, lui che sempre mi ha difeso dai pericoli, doveva essere un segreto da nascondere.
Tutto ciò fino al fatidico giorno della fuitina: avevo 16 anni e stavo insieme a un ragazzo dal nome altisonante, Salvatore Del Mondo. Ci eravamo ripromessi di scappare a Vigàta, la terra di Montalbano, dove la mafia interferiva meno con la vita pubblica, rispetto a Bugliano Siculo. Perché dove abitavo, guai prendersi troppe libertà, occorreva fare i conti sempre col boss! Io e Salvatore però non ci volevamo stare e sognavamo di avere una vita libera dalle ingerenze del crimine.
“Già, la fuitina, far l’amore con un ragazzo, avresti dovuto dirgli del virus per forza!” Alex ha intuito alla perfezione cosa stesse accadendo e io ci passavo le notti in bianco all’epoca. Come dire a mia madre affidataria che avevo un fidanzato? Come parlare del virus alle amiche consapevoli del ragazzo? Come affrontare con lui la questione!
Così, non potendone più, avevo deciso di scrivere un messaggio anonimo sul muro della scuola.
“Ragazze, ho l’HIV e sono amica vostra. Ragazzi, ho l’HIV ed esco con uno di voi.”
La sera stessa, avevo mandato al mio Salvatore un messaggio invitandolo a marinare scuola e uscire in bicicletta più lontano possibile. In spiaggia, sul bagnasciuga, gli avrei raccontato tutto.
“E non è andata così”, mi diceva Alex; “se l’hai considerato una relazione tossica vuol dire che…”
In effetti sì: geloso e possessivo com’era, in realtà volevo fare in modo che se la svignasse, invece mi sono messa ancora più nei guai perché qualcuno ha riconosciuto chi avesse scritto sul muro.
Laura, 2005: imminente pericolo
Durante quell’ennesima notte insonne guardai il display del cellulare: Salvo e io ci saremmo incontrati davanti alla scuola, sarebbe stata la resa dei conti ma a turbarmi si aggiunse un dolore lancinante al basso ventre: “il ciclo”, pensai; “anche volendo non potrei…” Feci per alzarmi e andare in bagno ma venni fermata dall’unica creatura di cui mi fidavo. “Rachel”, mi chiamò quella voce che solo io potevo sentire. “Ti stai mettendo in un casino enorme!”
Iniziai a piangere e strinsi a me il cuscino, che puntualmente ogni notte bagnavo di lacrime. A questo giro però Salvo non aveva colpe, ero io a trattarlo male! “Rachel, stai ferma”, la voce continuò a darmi istruzioni; “non è ancora ora di trasmettere”.
Lui, il mio HIV che interviene in linguaggio umano solo quando mi metto nei pasticci. E io che devo nasconderlo! “Perdonami HIV”, mi scusai tra le lacrime; “ma non… Non so cosa fare!” “Non certo rimanere qui”, replicò il mio virus; “neanche hai idea del casino che c’è a scuola per colpa del tuo messaggio sul muro! Io sono anche stanco di coprirti il culo, sai?”
Erano le cinque di mattina e mancavano due ore alla sveglia, ma il virus non volle permettermi di prender sonno: “in queste condizioni se monti in bicicletta ti sfracelli! Domani mattina spariremo da questo postaccio e andremo…” Una flebile speranza si impadronì per un attimo della mia mente: “stai a vedere che il mio HIV mi vuol portare a Vigàta in qualche modo”, ma venni delusa quando mi spiegò di un particolare fenomeno atmosferico. “Stai male se respiri la sabbia vigatese, Rachel! E mi uccideresti. C’è un vento…”
Ne avevo sentite troppe all’epoca su quella città e passai il tempo a riflettere sul da farsi. “Vai a scuola”, mi esortò il virus appena sentimmo la sveglia; “studia e metti giudizio perché Salvo Mondo non è quello giusto per te!” Strana la vita, le amiche incoraggiavano la storia con lui e il virus la ostacolava? Perché allora non mi aveva fermata prima di organizzare la fuitina!
Lo capii appena attraversai in bici la strada che mi avrebbe condotta a scuola, perché una donna poliziotto in divisa mi fermò chiamandomi per nome: “Rachel Wilson?” mi chiese con tono intimidatorio. “Lei è in arresto per detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti!”
“Che cosa… Io non ho mai…” La donna però non mi lasciò finire il discorso e mi trascinò con la forza fino alla propria auto, ma il mio spavento peggiore fu quando mi vennero bendati gli occhi.
Percorremmo ore in silenzio con me legata sul sedile posteriore e il volto celato da una maschera poi finalmente, all’altezza di un casello autostradale, lei parlò: “FBI, agente Carol Grant, protezione testimoni.”
Mi sentii immediatamente più rassicurata e sospirai: “ah, allora è per la mia famiglia…” L’incubo di due genitori affidatari legati al crimine organizzato stava finalmente terminando, Carol però si mostrò di tutt’altro avviso: “guarda Rachel! Rachel Wilson! Hai rischiato grosso! Non permetterò che tu finisca come Freddie…”
“Allora la droga era una scusa”, pensai tra me; “lei mi conosce…” Non ebbi il tempo di farle domande perché, all’improvviso, svoltò a destra in una curva imponente e sentii l’auto muoversi in un giardino ghiaioso. Carol non mi disse mai dove fossimo, sebbene gliel’avessi domandato più volte e solo quando mi tolse la benda mi resi conto del cartello davanti a me: “comando stazione carabinieri di Bugliano”.
Ricordo solo che da quel giorno fino a inizio 2022 rimasi nascosta in quel postaccio dismesso senza mai uscire, con Carol sempre avanti indietro, che mi portava cibo e medicine perché a suo dire non dovevo parlare con altri, nemmeno col mio HIV.
L’unico a trattarmi coi guanti bianchi fu il comandante Gaetano Fondina, palesemente amico (o amante) di Carol che si mostrò nel tempo sempre gentile, tanto che finalmente nel 2022 mi fece la proposta di sostituire una ragazza deceduta in servizio, Manuela Alamari.
Avevo dovuto cambiare nome, un’altra volta, ma mi ero guadagnata la libertà di movimento. Anche se portavo una maglia con scritto “merda negativa”, sebbene sia Carol sia il comandante, lì sopra leggessero “gendarme a vita”. Tutto bene fino all’estate 2022 quando la Gendarmeria di Bugliano ha chiuso e i Carabinieri hanno deciso di licenziarmi. Sì, avevo trovato in seguito occupazione come addetta alla sicurezza nella Pro Loco VisitBugliano, ma ero ugualmente priva della mia identità senza poter mai parlare del mio virus a qualcuno.
Manuela, 2023: il cerchio si chiude
E dopo tutte queste sventure, quando Freddie mi aveva stretta nel suo abbraccio, credevo di essere uscita da un incubo; perché allora dovevo tornare da Salvo Mondo? Perché dovevo ancora una volta fare Laura e portarmelo anche a letto!
“Il tuo Gifter sa sempre qual è il tuo bene”, Alexandra mi aveva risposto con un mezzo sorriso; “lui non ti metterebbe mai nei guai anche se sembra il contrario. Fidati di lui, Laura. Cioè Rachel, Manuela, come cazzo ti devo chiamare!”
Laura, Laura. Dovevo abituarmi ancora a quel nome. “E non aver paura, anche Salvo Mondo non ti farà niente credimi!” Come faceva Alex a essere così sicura delle proprie idee? Lei mi ha stretto la mano e dato un bacino proprio sul tatuaggio biohazard mentre uscivamo dallo spogliatoio. Niente le avevo detto della piccola Grace, ma il tempo stringeva e mi dovevo muovere.
Quando sono arrivata davanti alla stanza di Salvo Mondo e ho bussato, tutto mi aspettavo tranne che Freddie fosse lì, con la bambina nella culla al suo fianco. E immaginavo ancora meno che Salvo mi riconoscesse. “Laura mia”, ha esclamato appena mi ha vista; “non ci posso credere!” Quell’abbraccio mi disgustava, iniziavo a provare un senso di nausea e il fiato cominciava a mancarmi. “Cosa aspetti”, mi ha esortato Freddie; “prendi la piccola in braccio e portala via!” Dalla tasca, il mio Gifter aveva estratto un biglietto aereo. “La porti con te a Chicago e la lasci a sua nonna Carol. Hai capito?”
La piccola, che dormiva fino a un attimo prima, appena l’ho toccata ha iniziato a strillare e non c’è stato verso per calmarla: né io, né Salvo, né Freddie. Un pianto atroce, interminabile, a volte interrotto da violenti colpi di tosse che nel frattempo coinvolgevano anche Freddie e me; sentivamo persone muoversi nel corridoio, gente concitata che si avvicinava alla porta chiusa; “aiuto, HIV”, ho provato a chiamare il mio virus tra un colpo di tosse e l’altro. “Cosa sta succedendo, il killer Dissanguatore è qui…”
Nessuna risposta. La povera Grace non smetteva di piangere in braccio a Salvo, e tra i suoi strilli e la tosse, a un certo punto ho riconosciuto la voce di Adri davanti alla porta: “Mondo! Salvo Mondo! Brutto bastardo so che ce l’hai lì dentro. Apri quella cazzo di porta o ti ammazzo!”
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