Inevitabile per tutti lo shock di sapere che l’ambigua giornalista Chiara Athena sia in realtà l’amatissima insegnante di musica, Arianna Preziosi, scomparsa da anni e creduta morta.
Ma ancora più sconvolto è Adri nel capire che forse, della propria vita e passato, conosce ben poco. Sherlock, da dove viene questo nome?
In apparenza è lontana la tranquillità per gli amici del Campus in quanto la morte del serial killer sembra aver scoperchiato troppi segreti.
Adri: Sherlock e la Clinica San Teodoldo
“Li ricoverano alla San Teodoldo e me ne occupo io”, la dottoressa Evelyn Sloan mi aveva tranquillizzato mentre l’ambulanza portava via Riccardo e Freddie, svenuti; “vado con loro e raggiungici là”. Poi era salita sul mezzo di soccorso e non ci eravamo più visti. Cosa dire a Tatiana, che piangeva e cercava spiegazioni! Come raccontare a Freddie che presto avrebbe dovuto lasciare il posto da insegnante di musica, nuovamente ad Arianna?
“Sherlock”, lei insiste con quel nome e io stavolta non ho più intenzione di passarci sopra; “Arianna, Chiara, o come ti chiami! Per che cazzo ti ostini a chiamarmi come il personaggio di Conan Doyle! Io sono Adriano, porca di quella puttana!”
Lei non replica, si limita solo a indicarmi lo scuolabus parcheggiato poco lontano e tutti i miei amici radunati là intorno, in attesa di capire cosa sarebbe accaduto. “Ora prendi, guidi, e andiamo tutti alla San Teodoldo! Lì capirai”. Mai guidato un mezzo più grosso di un’auto in vita mia, ma di fronte alle persone a me più care già sedute nel pullman non c’era altra scelta; discreta, Arianna prende posto sul sedile dietro al mio e la sento bisbigliare con Alison, che teneva nostra figlia addormentata in braccio: “hai tutto, Ali?” la sento chiederle; “è arrivato il momento che aspettavi…”
Ahimè non sono riuscito a capire altro perché le due, forse notando che le guardavo, hanno smesso di parlare limitandosi a gesticolare e annuire. Vedo solo che Arianna aiuta Alison a tenere la piccola Grace in sicurezza senza svegliarla, è palese che loro due si conoscano da tempo! Vorrei intervenire, sapere perché la mia bambina dorme in braccio a un’estranea e Ali si fida a lasciargliela, poi il buon senso prevale: come suo gifter, voglio che Alison si fidi di me, e io per quale ragione non dovrei ricambiare?
Imposto il navigatore con l’indirizzo della clinica San Teodoldo, senza mai perdere di vista Alison e Arianna ma, vedendo sulla mappa il logo della clinica, sento il mio respiro diventare affannoso.
Sarà il caldo incredibile, meglio partire così si accende l’aria condizionata! Non posso stare fermo coi miei pensieri… Ma appena il motore si avvia, parte anche la radio con l’unico brano che non avrei mai voluto sentire!
Forse per il suono del motore, o il movimento del pullman, Grace si è svegliata e Ali, subito, ha iniziato a cullarla; neanche a dirlo, mettendosi a cantare come ninna nanna il brano in riproduzione! “Wherever you go, whatever you do, I will be right here waiting for you”…
Sempre lei, right here waiting di Richard Marx, l’unica canzone al mondo che odio con tutto me stesso senza alcun apparente motivo.
“Tutto bene, Sherlock?” Arianna ancora mi chiama con quel nome e nessuno protesta, neanche Alison che anzi insiste a cullare la bambina cantando lo stesso ritornello; io però, malgrado il condizionatore, sono sudato e faccio fatica a mantenere il controllo del mezzo. “Fate qualcosa”, vorrei chiedere aiuto ma le parole non mi escono; “qui moriamo tutti se guido io!” Ho l’impressione di sentire le mie mani paralizzarsi sul volante eppure lo scuolabus sta procedendo per la strada nel pieno rispetto dei limiti, cosa che in macchina ammetto di fare meno spesso di quanto si dovrebbe: non sembro davvero io l’autista!
Finalmente il brano si conclude e d’improvviso, davanti agli occhi, mi appare l’immagine nitida della clinica San Teodoldo, con tanto di scultura in marmo raffigurante un angelo neonato: “andrai a stare meglio, Sherlock”, la voce di una donna in lacrime invade la mia mente e mi rivedo piccolo, tra le forti braccia del mio defunto papà che mentre piango disperato fa di tutto per consolarmi. “Sherlock, andrai a stare meglio”, la donna che mi aveva appena abbandonato, parlava con una signora più anziana e poi se ne andava via in macchina, la stessa auto con cui si era fermata con me in braccio di fronte allo stesso angelo di marmo che ora si staglia davanti a me.
Adesso però le lacrime sono mie, e stanno bagnando tutto il display del navigatore che visualizza il messaggio “sei arrivato a destinazione”; com’è potuto succedere, ho guidato per la prima volta questo mezzo e oltretutto in queste condizioni? Ripenso alle immagini di mio papà, morto dissanguato dentro casa nel lontano 1998 e poi Alison, che tempo prima mi ha rivelato “Beniamino La Scala non è il tuo vero padre. Infine Hunter, e l’avvocato Bruno Maggio! Loro, i miei autoproclamati fratello e padre biologico seduti pochi posti più indietro nel pullman! Ancora la mia testa prova a mettere in ordine le idee. Ora che sono padre anch’io, devo affrontare la verità qualunque sia!
“Sherlock Holmes Maggio”, e che cavolo ho pure il nome completo? A chiamarmi così però è stato il mio HIV! “Stavi per avere un attacco di panico, profiler! Al volante eri tu ma sono stato io a guidare, altrimenti ci ammazzavi tutti!” HIV che parla, e che guida pure? Dovrei ritenermi fortunato! “Fosse la prima volta che ti salvo il culo, poliziotto; fosse solo per te saresti a raccogliere cipolle, credimi.” Ci voleva proprio, il virus che mi abbassa l’autostima!
L’importante è essere arrivati sani e salvi, il largo parcheggio della clinica è ottimo per il pullman e, senza dire una parola, siamo tutti scesi in direzione dell’ingresso; la priorità in questo momento è per Riccardo e Freddie, le altre situazioni possono attendere.
Freddie: una lenta ripresa
Ho ascoltato abbastanza dai dottori e in pochi minuti prendo la decisione: “Senti amico”, mi rivolgo a Salvo Segapiedi che mi sta cambiando la flebo; “puoi anche fare a meno di darmi questa roba, se mi vuoi iniettare in vena antivirali sappi che il mio virus è più furbo di te!”
“Lo vedi, è già pronto! Mica come te”! Evelyn Sloan non ha scrupoli nell’affrontare il collega e, con pochi gesti rapidi, mi libera da flebo e monitor cardiaco.
Non dovevo essere stato lì da troppe ore, perché appena appoggio i piedi a terra mi accorgo di essere in grado perfettamente di alzarmi; solo la memoria degli ultimi istanti prima di svenire, non vuole sentir ragione di svegliarsi!
Un passo, due, sì, ce la faccio! Cammino senza dolori e quando ormai sto di fronte alla porta della stanza, Segapiedi blocca l’uscita: “Gifter Freddie”, mi chiama abbracciandomi stretto; “il tuo virus mi ha liberato e ti sarò grato per sempre! Dovrò sdebitarmi…”
“Credete sia nata ieri?” Evelyn si piazza tra me e Salvo con un sorriso maligno: “pensate di avere ancora segreti, con in corpo un HIV parlante, sì? Guardate che se non dite qualcosa voi, mi racconta tutto lui. Sono la prima ad aver insegnato la nostra lingua al virus, o ve lo siete dimenticati? Freddie è gifter anche mio…”
Fatico ancora a concepire l’idea di avere due figli, ma che il virus parli e anche lui mi chieda di considerarlo parte della famiglia e soprattutto faccia la spia sui miei segreti, è decisamente eccessivo; parte di me vorrebbe tornare all’epoca di quando erano sufficienti le prime note di un mio brano durante un concerto, e il pubblico andava in delirio poi però mi chiedo: a cosa è servito godermela così tanto in passato, se ora ho tutte queste responsabilità?
Per un istante ho il desiderio di partire per Londra, vedere di nuovo casa mia, e scuoto la testa: sono io che allora temevo di non farcela, l’AIDS mi aveva annientato e ho ritenuto di lasciare i miei beni materiali alle persone di cui più mi fidavo. HIV maledetto, se avessi allora saputo di essere padre mi sarei comportato in modo diverso!
“Inutile agitarsi”, ancora una volta è il virus, a parlarmi; “io di tutto quello che compri mi intendo ben poco, voi umani vi complicate troppo la vita! E poi non credo che Tatiana avrebbe valorizzato la tua casa. E Riccardo ancora meno!”
Lei, Tatiana. La mia piccola Bulsara, a cui ho imparato a voler bene; ma l’altro? “Bulsara e Riccardo, due ragazzi meravigliosi, ma prima ci sono io”, il virus mi aveva messo davanti a questa consapevolezza, io però qui a Bugliano conoscevo un Riccardo solo! No, no, non poteva essere lui, Riccardo Preziosi Turnpike!
Riccardo, Turnpike. Riccardo, Preziosi, Turnpike. D’improvviso un dolore alla testa mi fa quasi perdere l’equilibrio e Segapiedi riesce a evitare che cadessi; violento, il ricordo mi invade come quel tuono che me l’aveva fatto perdere:
“Ho l’HIV non rilevabile, neanche volendo trasmetterei”, così Riccardo aveva affrontato l’uomo che riteneva suo padre; e io dopo essermi piazzato davanti al criminale col coltello e una fialetta di sangue finto, gli avevo detto la stessa cosa, pur consapevole di mentire. “Prendo i farmaci da almeno vent’anni”, e Floyd Turnpike ci era cascato come un pollo.
Lì avevo visto un Riccardo diverso: non più l’ambiguo studente lavativo che pensava solo a provarci con le ragazze, ma un giovane uomo determinato a farsi valere: “E poi, Floyd! Non sei tu mio padre, papà è lui!” E aveva indicato me, aggiungendo: “La mamma è viva e vegeta, hai eliminato una sosia negativa. Sono positivo da sempre…”
Queste notizie sconvolgenti mi avevano fatto svenire? Era stato un infarto! Poco ma sicuro. Ma adesso ho tutta l’intenzione di capire cosa stia accadendo davvero.
Riccardo: Bugliano pulita, dentro e fuori
“Sei stato un grande, Ricky!” Quando apro gli occhi sento le labbra di Greta vicinissime alle mie. Lei, la mia più cara amica, l’unica ragazza ad avermi fatto provare un sentimento genuino al quale ancora non riesco a dare un nome. “Credevo te ne fossi andata alla solita riunione di Bugliano Pulita!”
Lei scuote il capo: “tu sei più importante, il sindacato e gli ecologisti vadano al diavolo perché io e te siamo stati lontani per un sacco di tempo! Mai separare due positivi Biohazard, non è vero?”
Ancora un po’ intontito la guardo fissa in volto, chissà da quanto tempo era rimasta a vegliarmi, anzi, da quante ore ero svenuto!
“Non ho mai avuto una vera famiglia, Ricky, tu e Tatiana siete gli unici legami biologici che ho, grazie al virus. Perché altrimenti…”
Le appoggio un dito sulle labbra in segno di silenzio e mi siedo sul letto, ancora mi domando per quale ragione mi abbiano portato in ospedale! L’unico dolore che sento è una ferita alla spalla provocata forse dallo svenimento del quale ricordo pochissimo.
“Dobbiamo sdebitarci col nostro HIV”, mi dice lei; “da quanto sostiene tua madre, Turnpike ha sparato e il virus ti ha fatto svenire giusto in tempo per esser colpito dal proiettile solo di striscio, s’è piantato sul muro!”
E Freddie, chissà se il nostro virus le aveva confidato la verità? Nel dubbio scelgo di lasciar perdere. “Dobbiamo ripulire Bugliano dagli scheletri”, le dico; “ho bisogno di te e Bugliano Pulita più che mai”.
Salvaguardare la natura, pulire i rifiuti della città? Greta mi sorride e mi propone di iscrivermi al suo movimento ecologista ma io protesto: da Bugliano Pulita ora voglio altro, devo ripulire ogni armadio dagli scheletri costi quel che costi.
Anche se dovremo sconvolgere la vita del criminologo Adri La Scala; dimostrerò al mondo che Riccardo è ben più del videogiocatore sempre al computer.
“Io ho paura”, Greta fa di tutto per scoraggiarmi; “il Dissanguatore è morto ma se andiamo a rovistare in certa spazzatura, ci finiamo dentro! Di mezzo c’è anche un bambino! Riccardo, che vuoi fare”…
Certo, il piccolo Lisandro Filibui; come Tatiana-Bulsara, un orfano che tale non è mai stato del quale le sorelle Samantha e Jessika Filibui si illudono di poter disporre a piacimento. Lisandro è uno di noi Biohazard, e con noi deve stare!
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