MONDO REALE. Il 30 maggio 1991 viene registrato l’ultimo video dei Queen con Freddie Mercury ancora in vita: These are the days of our lives, canzone inserita nell’album Innuendo; composta da Roger Taylor e dedicata ai figli, cantata da Freddie in quell’occasione assume tutto un altro significato e quell’”I still love you” – vi voglio bene ancora -, sussurrato come conclusione, suona come un ultimo addio in grado di emozionare ancora dopo molti anni.
MONDO POSITIVO: Sempre al sicuro al Campus dell’università di Bugliano, Freddie alias Zach Nolan sente la canzone “these are the days of our lives” e ricorda quando decenni prima il mitomane aveva cercato di raggiungerlo anche sul set, ma era stato cacciato da una persona che l’aveva chiamato per nome costringendolo a dileguarsi, e che poi si era presa cura di Freddie…
NOTA DEGLI AUTORI: “I still love you” in inglese significa “ti amo ancora” ma “Still I love you” si traduce con “ti amo Still” e sapendo che ad aver creato HIV di Bugliano è stato un certo Raymond Still…
These are the days of our lives
Sono passati molti anni dal giorno in cui, a Montreux, io e i Queen registrammo “These are the days of our lives” e ora lo stesso brano è in onda sul grande televisore appeso al muro in sala break anche se il prof. Benjamin Bruckner vorrebbe proiettare il suo videocorso di scrittura creativa. Calma, prof, mettiti in fila che prima ci sono io!
Il mio batterista Roger Taylor aveva dedicato quella canzone ai suoi bambini, e io non sapevo che Maria Sole me ne aveva data una; l’incontro di una notte, la luce che mi aveva illuminato per sempre al Magic Tour nel lontano 1986 quando già ero il compagno di Jim Hutton.
Chissà come avrebbe reagito la piccola nell’apprendere di avere un padre gay, o bisessuale, insomma a cui piaceva andare in giro. Quanto avrebbe sofferto vedendomi nelle condizioni in cui stavo nel 1991?
Ma la domanda peggiore rimane senza risposta: come posso proteggerla dal misterioso stalker che tutt’ora mi perseguita? Il dissanguatore è vicino, ne sono certo!
Alla fine però ho smesso di crearmi problemi perché ho preferito imparare ad amare Tatiana per quel che è diventata, una meravigliosa ragazza che sa il fatto suo.
Godiamoci quello che abbiamo!
Ora la mia piccola grande Tatiana è qui insieme agli altri suoi amici a guardare il video, cantando al mio posto; lo so, la sua povera madre l’ha chiamata Bulsara e io sono il primo ad aver lottato perché riavesse il proprio nome, ma non posso dimenticare che a salvarle la vita era stata un’anziana russa di nome Tatiana.
“Ti fai troppi film mentali”, mi rimprovera il virus. “Sono stato io a tenerla in vita quando stava per congelare e la vecchia l’ha solo tirata su! Piantala e mettiti a cantare con gli altri!”
Forse ha ragione il mio HIV, meglio goderci il momento perché già domani il mitomane o qualcos’altro potrebbe averci ammazzati tutti.
“Non puoi portare indietro l’orologio, fermare lo scorrere del tempo. Inutile sedersi pensando a ciò che hai fatto, quando puoi sdraiarti e godertelo grazie ai tuoi figli.”
Aveva ragione Roger con quel testo, anche se poi le parole hanno assunto tutto un altro significato quando per il mondo mi sono dovuto dare per morto.
Ricordi e rimpianti
Ho tanto insistito in questi anni per riavere la mia libertà, eppure palesarsi ora col pubblico di ammiratori fuori Bugliano non ha alcun senso perché mi costringerebbe a perdere gli amici e la figlia appena ritrovati.
Loro mi hanno fatto scoprire un mondo che non avrei mai immaginato potesse esistere. Una famiglia vera, unita da una connessione immortale e indissolubile della quale anche Adri, il profiler, fa parte. Ma è ovviamente mia figlia Bulsara a cui mi sono affezionato di più: è identica alla mia adorata Maria Sole e ancora mi chiedo come ho fatto dopo il Magic Tour a non accorgermi di niente. Consideravo quella come l’ennesima avventura occasionale, ignorando palesemente una parte di me che mi spingeva a volerla cercare e stringere una relazione più profonda. Se solo ci fossero state le tecnologie attuali a quel tempo!
Me ne sto in silenzio, lasciando che la mia voce registrata cantasse le ultime battute:
“Those days are all gone now, but one thing is true: When I look, and I find, I still love you!
—
“Quei giorni sono finiti, ma una cosa è certa: quando ci penso e ti rivedo, ti amo ancora.”
—
Adri mette in pausa il televisore, fermando l’immagine del saluto “I still love you” che avevo sussurrato in video con le mie poche forze rimaste e fa una carezza sui capelli di Tatiana, ancora commossa e abbracciata a me.
“Dannato Mark Wilson che non ti ha dato la lettera, Freddie! Quel bastardo infame per fortuna che s’è ammazzato da solo!”
Certo, Wilson, il tipo strano che avevo assunto proprio in quegli anni per fare le pulizie in casa e ossessionato dal mio HIV già allora! Quello che si era firmato pure con un nome falso.
I STILL love you
“I still love you. Wilson. I still love you. Wilson.” Mi conosco, quando ho parole e frasi senza senso a martellarmi in testa vuol dire che la memoria storica si sta risvegliando. Cinque parole che continuano a girarmi nel cervello come ingranaggi impazziti. Love you still, Wilson, I love you, still, Wilson. You, Wilson, Still …
Allungo la mano verso il profiler che capisce al volo e si siede accanto a me, al posto di Tatiana. “Still I love you”, “Still I love you”, ancora quella frase in disordine che inizio a pronunciare a voce alta fino allo sfinimento.
“Lo so Freddie, so bene quanto lo amavi”, cerca di calmarmi Adri posandomi una mano su un ginocchio. “Ray Still manca a tutti. Poveraccio, ha faticato molto per portarti via da Londra!”
Il dottore, Raymond Still. Era sempre stato dolcissimo con me allora perché diavolo ho in mente l’immagine di lui con un coltello in mano?
“Sei pallido come un lenzuolo, Freddie, ti porto dell’acqua?”
Tatiana mi offre da bere ma io declino educatamente, c’è altro che voglio sapere e guardo l’agente Floyd Turnpike seduto di fronte a me: “visto che indaghi sul dissanguatore da tempo, puoi dirmi qualcosa di più dell’uomo che si è tolto la vita? Io non sapevo più nulla di lui dal 1990!”
“Mark Wilson era una semplice pedina, plagiato dal vero dissanguatore che l’ha indotto a confessare e uccidersi. Non ha dissanguato Maria Sole questo è certo! Anzi, anche averlo fatto lavorare in casa tua faceva parte del piano.”
Come cazzo ho potuto, quanto ero scemo ai tempi! Avrei dovuto verificare meglio chi prendevo a pulire la mia abitazione ma aveva suscitato la simpatia di tutto il mio staff, cos’altro potevo fare?
Altre frasi in disordine invadono la mia testa. “Better sit back and go, better sit back, Freddie. Sit back.”
“Forse è meglio che prendi qualcosa davvero!” Questa volta è il prof Bruckner a preoccuparsi per me e mi appoggia davanti una bottiglietta d’acqua insieme a un flacone di medicinali che io sposto da un lato. Contro i cattivi ricordi non c’è medicina, tocca viverli per forza sperando di alleggerirli grazie alla vicinanza degli amici.
Il male non si dimentica
Ho un vivissimo ricordo del 30 maggio 1991, quando fuori dal set Mark mi inseguì con un coltello: “i tuoi giorni sono finiti”, aveva urlato. “Ti conviene lasciarti andare, siediti giù, fatti trasportare dalla corrente perché il tuo destino è segnato.”
E guardandolo meglio mi era tornato in mente chi fosse, dove l’avessi visto la prima volta! Quel giovane, diventato pure un bell’uomo, già mi corse dietro dopo quel concerto in memoria di John Lennon del 1980. E anche durante il premio per i 20 anni dei Queen nel 1990, quando mi ritirai dalla vita pubblica. “Mark me”, gridava in continuazione. “Gifter, mark me!” Era palese che non si stava solo presentando. Ma se le volte precedenti nessuno alzò un dito, in questa occasione una persona comparve da dietro un muro e si avventò contro quel pazzo scatenato riuscendo a levargli di mano il coltello:
“Wilson! Non ti vergogni, fallito? Vuoi che tutti sappiano chi sei? Ti conviene sparire, non meriti la conversione!”
Bastarono queste parole a me incomprensibili del nuovo arrivato per convincere lo stalker a dileguarsi, pareva che quei due si conoscessero troppo bene e io non provai a dire una parola, stanco e debole come ero. Il mio salvatore si presentò a me e gli altri del mio staff come Raymond Still, e la sua calma li convinse a non chiamare la polizia. “Sono uno studente di medicina presso la IBUOL – International Bugliano University Of Life, sto qui per Freddie.”
A me cosa importava di chi fosse e da dove venisse, era già successo che lo stesso uomo mi avesse tirato fuori dai guai un anno prima e anche adesso volevo solo tornare a casa. Ero talmente spaesato che accettai la compagnia di quella persona per non sentire la mancanza del mio compagno rimasto a Londra, mentre io ero a Montreux coi Queen per registrare.
Cos’avevo da perdere, ormai mi davano pochi mesi di vita e lo sguardo di quel presunto studente di medicina mi sembrava rassicurante. “State tranquilli”, disse al mio staff; “Me ne prendo cura io.”
Grande e grosso com’era, Raymond mi portò fra le braccia e io gli spiegai che non avevo la forza di combinare niente con lui, ma fortunatamente non parve intenzionato a incontri sessuali. “Ti interessa una ricerca sull’AIDS?” Mi domandò, a bruciapelo. “Vorresti porre fine al tuo dolore una volta per tutte? A Bugliano stiamo lavorando su dei nuovi farmaci.”
Già, il contratto che avevo firmato nel 1989 col sedicente esperto internazionale; l’avevo dimenticato perché nessuno si era più fatto sentire fino a quel giorno.
L’ennesimo cialtrone, pensai. Ma appena arrivammo all’hotel dove alloggiava e mi fece sdraiare sul letto, mi resi conto che era tutto vero. “Non dovrai più temere Mark Wilson, questa sera ti faccio la prima puntura e poi nel tempo starai meglio. Devi solo aspettare qualche mese, poi ti darai per morto e verrai a Bugliano con me!”
Rischio per rischio proviamoci, pensai. Al massimo, potevo morire lo stesso e finire come tutti gli altri morti: una tomba su cui piangere, il cantante famoso conservato nelle collezioni di vinili impolverati.
E invece adesso eccomi qui, a Bugliano a raccontarvelo, mentre il mondo mi dà per morto.
Rispondi