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Maurizio Tarocchi 10: Jonathan

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Mentre Maurizio e Undet lavorano a Oziarium indagando su Stefania e Riccardo, Adri fa i conti con una situazione inattesa: chi sarà Jonathan?


Maurizio Tarocchi 10: Jonathan

Accompagnati da Enrico Russo, Maurizio e Undet raggiunsero in auto un’abitazione sperduta nella periferia di Oziarium.

Era circondata da un grande giardino silenzioso, decorato con inquietanti nani in pietra che rievocavano lugubri pensieri. Neanche un fiore o una fontanella ad arricchire quegli spazi, tanto che il sole cocente di luglio stonava con quell’atmosfera cupa e mortale.

“Santo cielo”, esclamò Undet. “Questo pare un bell’ambientino per la festa di Halloween!”

“Vero”, annuì Maurizio; “poi se come dici tu qui vive una donna non la invidio affatto.”

“A lei nulla fa paura”, gli sorrise Enrico suonando il campanello. “Ora lo verificherai di persona.”

“Chi è?” Una voce femminile rispose al citofono, sospettosa. Era evidente che non aspettava visite così Maurizio e Undet lasciarono passare prima Enrico.

“Lolli! Sono Nico e ho portato due amici di Jenny!”

Sentito quel nome la padrona di casa aprì il portone e li fece accomodare al tavolo in sala da pranzo, ma appena riconobbe Tarocchi lo abbracciò forte.

“Signora, mi scusi. Ci conosciamo?” Chiese lui, indietreggiando e schiarendosi la gola. “Mi perdoni ma…”

“Come, non si ricorda di me commissario?”

“Ex! Ormai sono in pensione! Comunque da qualche parte l’ho già vista ma il suo gesto di affetto mi sembra alquanto esagerato.”

“Michela Lolli, moglie di Arturo Leotta…”

Undet e Mauri si guardarono l’un l’altro perplessi, finché la donna sciolse ogni loro dubbio: “mio marito si chiama Leotta ma non c’entra con Jenny, il commissario aveva indagato anni fa sull’uccisione di mio suocero ed ero stata interrogata anch’io.”

“Ah, certo, adesso mi viene in mente”, confermò Maurizio. “Arturo è in prigione dove merita di stare, ha già rovinato abbastanza vite.”

“Oh, maledizione, quella storia”, intervenne Undet. “La famiglia Leotta. Erano usurai e violentatori che anni fa indignarono l’Italia intera e pensavo che la morte del piccolo Riccardo fosse…”

“Riconducibile a loro? No! Tutt’altra famiglia, e il commissario Tarocchi è stato l’unico all’epoca ad aver creduto agli stupri che subivo da marito e suocero!”

“Senti Lolli!” Enrico Russo entrò a gamba tesa nella conversazione e lanciò un’occhiata di rimprovero alla donna, che abbassò lo sguardo. “Qui c’è un agente venuto giù dalla Toscana per parlare con te, dovresti essere più rispettosa! Siamo tutti qui per parlare di Stefania Leotta.”

“Ancora sbagli, Nico? Si chiamava Jenny! Nessuno usi più il vecchio nome, portatele rispetto almeno ora che non c’è più.”

“Allora”, esordì Undet. “Al mio paese, Bugliano, è morta una bambina per dissanguamento. Come il fratellino della tua amica Jenny, e noi siamo qui per saperne di più.”

“Povero Riccardino, omicidio archiviato come incidente ma le cose non stanno così! L’hanno dissanguato apposta e l’assassino è ancora a piede libero.”

Maurizio scosse il capo e rimase qualche minuto a pensare, col volto tra le mani; gli sguardi complici tra Lolli e Nico lasciavano trasparire una relazione che andava ben al di là del lavoro ma la sua grande amicizia col giornalista lo indusse a far finta di niente. “E quest’affermazione quali basi ha? Io ho archiviato perché la madre aveva raccontato che il bimbo si era svenato sulla porta a vetri.”

“Vedete, sono cresciuta assieme a Jenny: stessa classe in tutti i gradi scolastici e quando lei si trasferì un periodo a Londra, ho cercato il modo di legarci per sempre; così ho scoperto un particolare sito di incontri dove avremmo potuto unire il nostro DNA fino alla morte, e oltre.”

“Eccolo là”, pensò tra sé Undet; “troppo bene conosco questo delirio!” Ma preferì stare in silenzio così che Maurizio potesse condurre la conversazione.

“Capisco, volevate portarvi a letto lo stesso uomo, avere dei figli con lui, qualcosa del genere?”

“No, commissario Tarocchi, è un’altra cosa. Più intima, definitiva…”

Mauri indicò il simbolo di rischio biologico sulla giacca di Nico e solo a quel punto Undet prese la parola: “in pratica avete pagato uno per farvi contagiare di proposito con l’HIV? Follia…”

“Nessuno è stato pagato! Nessuno”, si alterò Lolli. “Io e Jenny eravamo d’accordo e lui…”

Anche Undet non smise di fissare il disegno sulla giacca di Nico e nella stanza scese un silenzio impenetrabile che Lolli interruppe dopo diversi minuti di imbarazzo: “non è lui il donatore, no! Ma si può sapere cosa vi interessa del mio virus adesso?”

“Sei stata tu la prima a parlarne”, ribatté Tarocchi; “tanto più che se la tua amica è morta di AIDS…”

“Quello è il minimo che potesse succederle, Jenny voleva gli onori senza gli oneri. Ha voluto il virus e non se ne è mai presa cura come si deve!”

“Questi pazzi che non prendono i farmaci”, Undet parlò a bassa voce con lo sguardo rivolto a terra forse colpito più del dovuto dalla frase di Lolli. “Cura, responsabilità, la tua amica ha avuto un bambino, non è vero?”

Impossibile per lui togliersi dalla mente il ricordo del piccolo Simone abbandonato, anni prima, in fin di vita nel parcheggio dell’ospedale. Né tanto meno l’immagine del bimbo solo, per strada, incrociato a Bugliano durante il viaggio verso l’aeroporto.

“Già, povero piccolo! Non fatemelo ricordare, per carità di Dio: sembrava amarlo molto, ma dopo un paio di mesi l’ha scaricato davanti all’ospedale quando s’è accorta di quanto impegno ci volesse per crescere un figlio!”

“Eppure a noi risulta il contrario”, la incalzò Tarocchi; ma Enrico Russo gli lanciò un’occhiataccia che Mauri capì al volo preferendo restare in silenzio.

“La vita è così”, continuò Lolli. “Chi ha il pane non ha i denti, e chi ha i denti non ha il pane! Solo questo posso dirvi.”


L’imprevisto

A Bugliano, Adri fermò la macchina davanti al commissariato e iniziò nervosamente a rovistare nell’abitacolo. Dentro il porta oggetti non trovò ciò che stava cercando; nemmeno sotto i sedili o negli scomparti ricavati nelle portiere. “Porca di una vacca maledetta”, sbottò e si rassegnò a controllare anche il sedile posteriore e il bagagliaio.

“Posso essere così sbadato”, si lamentò tra sé, e ancora una volta controllò nella giacca, nei pantaloni e nelle tasche dello zaino. Nulla.

“Impossibile che mi sia caduto”, pensò; “e anche tornassi in aeroporto… No! Dannazione! Il mio telefono è pieno di dati!”

Si rassegnò a varcare la soglia del commissariato pronto anche all’eventualità di sporgere denuncia per furto, consapevole che quella sarebbe stata l’ultimissima spiaggia; troppo difficile per uno orgoglioso come lui, ammettere ai suoi stessi colleghi di essere vulnerabile come tutti. Così, ignorando chi lo salutava, andò a chiudersi nel proprio ufficio dove poteva ragionarci con calma.

Gli bastò vedere il suo computer per accennare un sorriso; forse avrebbe potuto lui stanare il ladro e lottare fino a riavere il maltolto, era sufficiente verificare l’ultima posizione in cui il dispositivo era stato localizzato. Accese la macchina e si collegò al servizio “trova smartphone” ma, appena comparve la mappa a schermo, si posò una mano in testa: “sono proprio scemo”, disse accennando una risata liberatoria; “poco male!” Non gli restò che spegnere il PC e andarsene.

Un’altra corsa senza dire una parola sotto gli sguardi perplessi dei colleghi, e in pochi minuti parcheggiò l’auto davanti alla propria abitazione ma la fretta di recuperare il telefono scomparve immediatamente quando venne colto di sorpresa da un’inaspettata presenza davanti alla porta:


Ospite inatteso

“Signore, abiti qui?” Domandò timidamente una voce infantile. Il misterioso bambino sperduto, che il criminologo aveva incrociato al semaforo verso l’aeroporto, aveva scelto proprio quel luogo per nascondersi!

“Ehi piccolo”, lo chiamò il profiler. “Ti sei perso? Qual è il tuo nome? Il mio è Adriano. Adri, per gli amici.”

“Jonathan. O Simone, o Eugenio, non so più come mi chiamo… Ho paura, sono solo, mi aiuti?”

Intenerito dal suo sguardo disperato, Adri non esitò a stringere a sé quel bimbo innocente e aprire la porta di casa facendolo entrare. Il piccolo si guardò attorno in quell’ambiente del tutto estraneo, ma strinse più forte la mano del profiler quando notò Rocco Vitale e Roger seduti tranquilli al tavolo in cucina, come fossero persone di famiglia.

“Ho tanta paura, non è che quei due mi portano dai bambini soli, vero?”

Di nuovo Adri gli accarezzò una guancia e lo strinse tra le braccia. “Dimmi da dove vieni, se hai una mamma, un papà…”

“Vivevo con la nonna ma è morta, e il nonno mi dava da bere il sangue con la bottiglia…”

Incredulo il criminologo cercò lo sguardo del piccolo ospite, che evitò accuratamente di incrociare i suoi occhi; era palese che fosse un ragazzino traumatizzato e Adriano non volle insistere, finché fu proprio Jonathan a guardarlo implorante, e determinato allo stesso tempo.

“Portami dal maestro Marco, l’unico che mi vuole bene!”

“Il sangue in bottiglia”, Rocco Vitale sorrise maligno; “l’hanno indottrinato bene povero cucciolo.”

Fu Roger l’unico a non sorprendersi per quanto detto dal bambino e gli si avvicinò sussurrandogli qualcosa all’orecchio nel tentativo di tranquillizzarlo, ma ottenne solo l’effetto opposto e Jonathan si rannicchiò ancora di più sulla spalla del profiler.

“Dai”, lo incoraggiò Adri; “sai cosa facciamo, Jonathan? Guardiamo i cartoni animati e disegniamo un po’ insieme, ti va?”

“Ai cartoni penso io”, rispose Rocco avviandosi in soggiorno con un blocchetto di post it e una penna in mano; “sono io l’esperto!”

Ad Adriano non sfuggì l’incertezza con cui il bambino guardava Rocco, e solo un ulteriore sorriso di incoraggiamento convinse Jonathan a raggiungere il divano. Una volta lì, Vitale maneggiò per qualche minuto il telecomando della tv fino a individuare un cartone animato sui robot che però il bimbo ignorò, intento com’era a disegnare dei goffi super eroi. “Flash? Batman? Superman”, domandò Vitale mentre osservava i foglietti; “perché non cambi un po’? Disegnami casa tua, la mamma, il papà…”

“Gli uomini che mi fanno paura hanno tutti il vestito da super eroi e non mostrano mai la loro faccia.” Jonathan rispose seccato e ammucchiò i post it su un bracciolo del divano, dove Vitale li raccolse. Il piccolo trattenne una lacrima e provò a concentrarsi sulla tv, chiuso nel proprio mondo interiore.

“Allora, piccolo, ho un’idea: disegna una persona che ti vuol bene, così noi poliziotti cerchiamo di trovarla e portarti da lei.”

Questa volta il piccolo prese in mano la penna senza più degnare la televisione di uno sguardo e tracciò il volto di un bel ragazzo sorridente, che consegnò subito a Vitale: “il maestro Marco”, gli disse. “Mi insegna la matematica e le parole.”

Rocco gli regalò una carezza sulla testa e, presi tutti i disegni, li riportò in cucina dove Adri e Roger attendevano impazienti.

“Mi riporti il disegno del maestro Marco? Lo voglio come angelo custode”, il bambino parlò dal divano e Rocco, deliberatamente, non lo ascoltò più.

Il volto del “maestro Marco” fu il primo che saltò all’occhio di Adri! Malgrado i numerosi traumi era evidente che il bambino avesse ben chiare in mente le persone a lui legate.

“Hai visto profiler, il ragazzino è un vero artista! Chissà da dove è arrivato.”

“Lo so che non mi crederai, Tocco Virale, ma lo giuro: mi è spuntato davanti alla porta di casa, ha l’aria di aver camminato da solo per chilometri.”

Un ghigno perfido stava spuntando sulle labbra di Rocco e lui se le morse, doveva mantenere il più possibile la calma: tutto e subito non si poteva avere! Ci pensò un attimo prima di parlare, ma ben presto si accorse di avere l’idea a portata di mano: “sarà provato, traumatizzato, ma è riuscito a disegnare perfettamente la persona che gli ha fatto del male.”

Adri prese in mano il post it e lo guardò attentamente. Una, due, tre volte, quel disegno infantile ritraeva un volto troppo familiare per lui. Si alzò dalla sedia per andare a raggiungere il bambino, ma Vitale gli fece cenno di fermarsi.

“La verità fa male, vero profiler? Sei così innamorato di quel disgraziato da non accorgerti di che pasta è veramente fatto! Se il bambino l’ha disegnato, di sicuro non sta mentendo.”

“Senti Rocco”, intervenne Roger. “Quel ragazzo è morto e non può più difendersi! Tu non hai diritto di…”

“E se invece fosse ancora tra noi?” Insinuò Vitale, con un sorriso beffardo. “Tu e Adri vi siete invaghiti di un criminale figlio di papà, uno come lui non ha problemi a farsi parare il culo.”

“Siete degli sciacalli disgustosi”, urlò indignato il profiler senza curarsi del bambino che, nel frattempo, aveva posato la testa sul tavolo per nascondere le lacrime. “Offendete senza motivo le persone che amo.”

“Ah, sì? Allora guarda tu stesso, grande profiler!” Senza mai perdere il suo sorriso di scherno, Rocco Vitale digitò sul computer di Adriano fino a far comparire il risultato sperato: “Elia Bono-Mondo, padre Luca e madre Leonarda. Nato a Bugliano il 5 settembre 2003.”

“Elias”, il profiler chiamò per nome il ragazzo, lo sguardo fisso su quella foto troppo simile al disegno di Jonathan. “Se avessi saputo che tuo padre è il questore di Oziarium…”

“Per fortuna è sparito prima di farci troppo del male”, raccontò Roger. “Se tu solo avessi la minima idea di quali giri aveva il tuo prediletto! E suo padre lo copriva!”


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