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Marracash, vittima: canzone contro l’attivismo performativo

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Spesso nel blog abbiamo condannato l’attivismo performativo, quando le persone appoggiano una causa sociale solo per avere visibilità. Ma apprezziamo ancora di più quando a farlo è un artista, coinvolto in questo meccanismo molto più di noi.


A noi non piace il rap

Detto così, chiaro: che sia americano, italiano o altrove il rap è un genere musicale che non ci è mai piaciuto; pregiudizi e violenza dei suoi testi? Non necessariamente, troviamo sgradevole sentire uno che parla su una base; fallo in radio come intrattenimento o per veicolare un messaggio serio ma per favore, non chiamarla musica! La nostra sensazione è questa.

Eppure nel panorama del rap italiano c’è una figura che apprezziamo per i suoi testi, specie quelli dell’album uscito a fine 2024 “è finita la pace”. Si chiama Fabio Rizzo e il suo nome d’arte è Marracash.

L’abbiamo sentito la prima volta nel 2008 con un tormentone chiamato “badabum cha cha” al quale non davamo alcun peso perché entrava in testa questo ritornello e non ne usciva più:

Sotto il palco c’è un grosso bordello che fa

Badabum, badabum cha cha

La mia gente ti prende ti porta di là e

Badabum, badabum cha cha

Ci siamo chiusi e l’abbiamo liquidato come il solito rapper da bontemponi, invece alla fine Fabio aveva qualcosa da dire anche in quel pezzo:

Sono popolare e sono bipolare

Troppo popolare per un bilocale

Zio vestito male perché io ho la fame

Quella mia, di mio nonno e quella di mio padre

Il lavoro lo preferivo manuale

I poveri almeno ti ordinano cosa fare

I ricchi invece, loro usano il plurale

Prendiamo, spostiamo ed alziamo e dopo restano a guardare

Quindi è OK pure quando i miei fra’ ridono

E non vogliono il dramma perché già se lo vivono

Dai palazzi come Pino, brindo, salute

A fare le penne davanti alle major e le major mute

Appena letto che l’ultimo di Marracash era stato giudicato uno dei migliori album italiani del 2024 abbiamo deciso di documentarci meglio su di lui, scoprendo che è veramente bipolare così come è stato davvero povero.

Attivismo performativo

Nel blog abbiamo già affrontato l’argomento Attivismo Performativo documentando quanti siano i danni compiuti dalle cause sociali sfruttate come mezzo per acquisire visibilità e Marracash lo denuncia in un particolare brano dell’ultimo album. “Vittima”.

Approviamo in pieno le sue parole e ci piacerebbe dargli un abbraccione, meno stretto di quanto vorremmo perché a suo modo si è fatto portavoce di una prassi infelice per la politica: non votare, che è come dire “al mio futuro pensino gli altri” e subire quello che viene.

Libero di farlo? Sicuramente. Ma quando hai un grande pubblico e ti consideri “un pioniere dell’astensione” non dai certo un esempio tra i migliori.

Vittima: le parole

Proviamo ad analizzare alcuni punti del brano che ci hanno maggiormente colpito, ci viene paura all’idea di tradurlo anche in inglese ma ci proveremo. Noi mica siamo vittime del sistema, giusto?

Vogliamo che anche i lettori internazionali conoscano l’esistenza di artisti contrari all’empatia esibita e alle vittime sacrificali sull’altare della visibilità. E non necessariamente sono indirizzati verso l’estremismo politico né tanto meno si devono additare come sessisti o altro.

Che farai adesso? A chi darai la colpa?

Alla tua zona? Agli istituti? A una famiglia storta?

Tu vuoi raccontarti che sei stato vittima

Che rispetto agli altri la tua rabbia è più legittima (Più legittima)

Quante volte hai pensato di farla pagare a tutti

Sei solo riuscito a farti pagare, non li hai distrutti

Si auto-assolvono perché dal loro punto di vista è il mondo a sbagliare, non hanno alcuna responsabilità per ciò che accade allora piangono o scaricano le frustrazioni sulle spalle degli altri.

Nessuno credeva in te, allora ci hai creduto troppo tu

Fino a identificarti in ciò che ti hanno tolto

Senza più cercare né confronto né conforto

Sostituendo amore col controllo e con lo scontro

Conosciamo in rete o di persona parecchi soggetti come questi: “nessuno mi vuole perché ho l’HIV, sono così aggressivo a causa di problemi in famiglia, sono discriminato per le mie idee politiche, sono vittima del pensiero unico dominante” e potremmo andare avanti per ore.

Cercano motivi per piangere e odiare, ma non vogliono sentirsi dire che hanno un carattere impossibile; se dopo coi loro pianti possono anche farsi pubblicità? Meglio ancora.

“Nessuno credeva in te, allora ci hai creduto troppo tu – fino a identificarti nell’HIV. Dedichiamo questa variazione a soggetti con evidenti difficoltà relazionali irrisolte i quali, anziché affrontarle, danno la colpa all’HIV per farci credere che prima la vita andava tutta benissimo.

La gente non possiede niente, solo la dignità

Chi piange pubblicamente, come fa? (Come fa?)

Così arrivista che monetizza l’umiliazione

Ed altra gente triste che assiste così è migliore

Assistono? Fossero solo spettatori passivi il problema sarebbe relativo, invece un sacco di gente soprattutto nei social si mette a mandare reazioni e anche soldi, così il frignone di turno piange ancora di più.

È tutto in testa, hai i blocchi

Perché ancora ferma ai blocchi di partenza

Credi di meritarti questa merda, una sentenza

Temi il dolore, poi ti affezioni, è dipendenza

Se non perdoni loro, non perdonerai te stessa, ah

Quindi cambia, perché lo sai che piangere non è abbastanza

Non è sul serio se ti lascia intatta

Il sangue è più denso dell’acqua e macchia

Suona familiare? Sì. Emozioni già vissute da Gifter nel suo cambiamento positivo: il dolore, l’autocommiserazione e l’auto-stigma a un certo punto diventano una dipendenza e anche in quel caso la risposta più rapida è stata quella di fare la vittima del mondo:

…mi facevo talmente schifo da essermi chiuso in casa senza farmi la doccia per giorni; Adriano da parte sua veniva anche a trovarmi ma sempre più di rado.

“Non mi vuoi più come amico perché ho l’HIV, gli scrissi un giorno ma la sua risposta fu impietosa: “se non vengo volentieri da te è perché puzzi come una capra. Pensi di spaventare il virus così? Più facile che me ne vada io! […]”.

Lo psicologo […] mi affrontò a muso duro: “quanti modi per morire stai descrivendo. Ma se passi i giorni a pensarci senza metterlo in pratica, intuisco che non vuoi ucciderti veramente. […]”.

Gli amici d’infanzia agiscono d’istinto ma un terapeuta di mestiere sa riconoscere quando e come è il caso di muoversi; la verità è però che Alessandro non ha continuato a esercitare il ruolo di vittima e abbia riconosciuto che il problema era lo stigma HIV e l’omofobia interiorizzati.

Per chi fa l’eterna vittima? L’abbiamo già detto nel nostro articolo sul woke: vedere ingiustizie sociali ovunque e farsene i paladini, non porta lontano e per fortuna esistono artisti come Marracash in grado di farci riflettere.


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